venerdì 7 febbraio 2020


Le tonnare dei primi marchesi D’Amico

a cura di Massimo Tricamo e Giovanni Lo Presti

Quando l’Assedio spagnolo di Milazzo ebbe inizio (ottobre 1718) gran parte della popolazione si trovava nei vigneti della Piana a vendemmiare. L’acuirsi dello scontro bellico impedì all’improvviso il transito delle persone. Milazzo si spaccò così in due: il centro urbano (allora cinto e difeso da mura) ed il Capo rimasero saldamente sotto il controllo delle truppe piemontesi ed austriache, mentre la Piana cadeva sotto il dominio degli Spagnoli, alla cui obbedienza si erano sottomessi anche i comuni confinanti.

Allora tra i 4 giurati di Milazzo, ossia tra i 4 amministratori comunali, figurava Don Antonino D’Amico Lucifero (1691-1774), destinato a diventare il primo marchese D’Amico. Convenienze politiche spinsero il ventisettenne Don Antonino, che si era trasferito nella Piana con tutta la famiglia per le vendemmie, a rimanere a S. Marina, dove - al servizio della corona di Spagna -  cumulò le cariche di amministratore comunale e di giudice civile e penale. Le autorità spagnole premiarono dunque la fedeltà del giovane D’Amico, il quale, in qualità di giurato - anche grazie alla segreta collaborazione coi suoi tre ex colleghi giurati, rimasti nella sfera di influenza austropiemontese - alleviò con forniture di pane la carestia del centro urbano di Milazzo. Una condotta che fruttò al D’Amico la gratitudine di molti, ma anche le ostilità di chi vedeva in lui un suddito non troppo fedele al Re di Spagna.

Agli sgoccioli delle vicende belliche del 1718/19 Antonino D’Amico dovette trasferirsi a S. Lucia del Mela, non essendo ovviamente gradito alle autorità austriache. Ma decenni dopo il suo attivismo a favore della corona di Spagna ai tempi dell’Assedio e le prove di efficienza manifestate in occasione dell’incarico pubblico da lui ricoperto durante l’emergenza sanitaria del 1743 (la peste) gli fruttarono il titolo di marchese, concessogli dal Borbone.

Una monumentale fontana settecentesca, proveniente dagli appezzamenti di S. Giovanni dei D’Amico, acquistata dal Comune di Milazzo per 40 milioni di vecchie lire e poi parzialmente trafugata, raffigurava la severa figura del marchese Antonino che additava con l’indice il figlioletto marchesino Tommaso Mariano, nato nel 1753 dalle seconde nozze con Rosaria Calì. La fontana (quel che ne resta fu collocato dal Comune nel piazzale antistante la chiesa del Rosario) è databile intorno al 1755 e raffigura il marchese Antonino ormai sessantenne, quando aveva in gestione la Tonnara Grande del Porto di Milazzo, conosciuta anche come Tonnara di Milazzo. Costruì «un mediocre malfaraggio» e la dotò di tutto il necessario per il calato (apparato), decenni dopo trasferito alla Tonnara del Tono dal figlio Tommaso Mariano, che così abbandonò l’antichissima Tonnara di Milazzo a suo parere improduttiva (anche se il cugino Francesco Carlo D’Amico, Duca d’Ossada, l’avrebbe gestita subito dopo per un quadriennio con profitto).

Lo stesso Tommaso Mariano, coniugatosi nel 1771 con Giovanna, la figlia del marchese Carrozza di Messina, ricevette in dote per il matrimonio la Tonnara del Pepe o Capo Bianco, calandola quale tonnarella sia per il corso che per il ritorno e tenendola in mare sino al mese di settembre. Quella stessa tonnara che qualche decennio prima, precisamente nel 1746, il barone Don Cesare Mariano D’Amico, padre del suddetto Duca d’Ossada, aveva tentato di calare - ma senza successo - come «tonnara grande di corso» nello Scaro dei Liparoti, accanto al Cirucco e sotto la villa detta del Paradiso (oggi proprietà Bonaccorsi) che lo stesso barone aveva innalzato nel 1740.

Anche il marchese Tommaso Mariano D’Amico tentò di calarla come tonnara grande, ancora una volta sotto villa Paradiso. Fece l’esperimento ben due volte. Ma alla fine fu costretto a desistere, accontentandosi della già citata tonnarella di corso e di ritorno calata nella Baia del Pepe, sotto S. Opolo.

Le missive riportate di seguito si riferiscono proprio alla Tonnara Grande del Porto ed a quella del Capo Bianco. Risalgono al 1775 e sono custodite presso l’Archivio Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” (fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche). Il giovane marchese Tommaso Mariano D’Amico - che allora risiedeva a Messina, salvo tornare a Milazzo nel periodo della pesca del tonno (maggio-giugno) - aveva vincolato il pescato delle due tonnare a favore del messinese Leonardo Galati, il quale oltre al pesce fresco collocava sul mercato anche il salato prodotto dal D’Amico (sottile, sorra, bodina, busonaglia, etc.).


«Eccellenza,

all’ori 17 mi è capitato Fulippo Cambria con pesci n.° 15 in cantara 15.16 tonnina del Capo Bianco, che fu il motivo che io ebbi a farla vendere tutta a grana 12 rotolo, essendo venuta ad una ora sproposita. Doppo che fu uccisa all’ori 22, dovea venire in Messina a giorno, però mi persuasi essere stata mancanza del Padrone, che vi erano nella barca tre tignosi [spregevoli, ndr] che venivano senza o core e portavano tutta la tonnina una pesti [senza alcun riguardo, ndr].

Intanto io vedendo il tempo esser passato di vender tonnina, prevengo con questo serio a Vostra Eccellenza, se Iddio li mandi tonnina tanto del Capo Bianco quanto della Tonnara di Milazzo, Vostra Eccellenza la farà salare e preghi Iddio che ne facci quantità che tutta mi la prendirò io.

Solo per mercodì ne mandirà cantara 12 e cantara 12 per vennardi, perché Iddio non lo camanda che io fossi interessato doppo che mi ò preso il petto con una pietra per Vostra Eccellenza. Farò quello che io li dico e senz’altro l’obbligo con tutti di questa casa.

Messina, lì 19 giugno [17]75

Umilissimo servitore

Leonardo Galati»


«Eccellenza,

rispondo alla gentilissima di Vostra Eccellenza. Sento che desidera da me sapere se quelle poco tonnini salate che à fatto assieme con la bisognaglia se li ò di bisogno e fa per me.

In risposta sono a dirli che io devo guardare li interessi che sono li principali quelli di Vostra Eccellenza. Tonnine ne devo comprare e prima sono nell’obligo smaldire tutti quelli che à fatto Vostra Eccellenza. Sicché non vi è la necessità che si portasse ora la tonnina in Messina, prima di venire Vostra Eccellenza. Bisogna sapere quanti barili vi è di sottile, sorra, bodina e bisinaglia. Io direi che questo negozio si risolvesse con la presenza della sua venuta in Messina al suo maggior vantaggio e di me. E di tutto quello che appartiene a me à tutta l’otorità Vostra Eccellenza di fare e sfare.

Riguardo alla Marchesina ne stij siguro che li ò stato e starò a’ fianchi ed è ben persuasa, non però si allestirà quanto più presto potrà Vostra Eccellenza. Non ò altro che dirli. Mi resto obbligato al petto, come osserva la Marchesina, cognata e tutti di casa.

Messina, lì 31 giugno 1775

di Vostra Eccellenza Signor Marchese D’Amico,

suo umilissimo divotissimo servitore

Leonardo Galati»


«Eccellenza,

rispondo alla gentilissima di Vostra Eccellenza in data del 9 corrente. Resto pienamente informato della presa di n.° 17 tonnicelli ed averne rimesso per Messina n.° 4. Però non abbiamo inteso se in tonnara vi fosse altra providenza. Per la notizia che desidera da Calabria e Torre di Faro, posso dirli che alilonghi continuano a prendere li palamatari, [ma] senza tonni. Li tonnari del Pizzo prendono giornalmente in poca quantità di tonni.

Li accludo la nota del Signor Barone Arena e Primo delle onze 3, dovendola sottoscrivere Vostra Eccellenza.  Il terzanello [drappo di seta leggero e di scarsa qualità, ndr] e vitri sono nella cassettina. La Signora Marchesina restò conzolata della notizia avuta che la passa mediocre di salute. Altretanto va a gioco sperando per ristabilirsi dell’intutto. Restamo anziosi di sentire delle bone notizie delle tonnare. Come anche vol sapere in che stato sono li affari di Sua Signora Madre e Sorella. il Suo Signor Fratello non à scritto. Sempreché scriverà, la Signora osservirà quanto Vostra Eccellenza desidera. Solo mi resta dirli che la Signora Marchesina, Signor Padre, Madre Signora, fratello e cognato e cognata li abbracciano.

Caro Marchesino,

non scrivo di proprio pugno perché non ò tempo. Confermo quello che scrive [sopra] Galati. Ti abbraccio di core assieme colli figlioli e sono

Tua affezionatissima sposa che di core ti ama

Giovanna»


La società col barone dell’Albero. La crisi di produttività della Tonnara di Milazzo si evince da un contratto stipulato nel gennaio 1775 dal marchese Tommaso Mariano D’Amico e da Francesco Maria Proto Patti, barone dell’Albero. Quest’ultimo rinunciò a calare la Tonnara della Gabbia o Malpetitto, collocabile appunto nella contrada Gabbia di Giammoro (Pace del Mela), per instaurare una società col marchese D’Amico allo scopo di gestire assieme la Tonnara di Milazzo. Più precisamente il barone dell’Albero si obbligò a rinunciare «al calato della Tonnara sudetta della Gabbia o altra tonnara del mare di Levante, principiando dalla Tonnara di Melazzo sino al Malpertito, sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo». Il barone dell’Albero aveva appena gestito, con soci milazzesi e con esiti evidentemente non favorevoli, la Tonnara della Gabbia negli anni 1773 e 1774. Si trattava di una tonnara che veniva calata saltuariamente. Gli ultimi esperimenti risalivano al biennio 1755/56, a cura del nonno materno del Duca d’Ossada Antonino Proto Mustazzo (1698-1776) e del fratello Paolo, i quali la calarono a Monforte Marina e a Scala. Dopo le suddette due annate del barone dell’Albero, la tonnara sarebbe stata calata per l’ultima volta dal citato Duca d’Ossada nel 1787 con gravi perdite finanziarie.

L’accordo contrattuale traeva origine dalla circostanza che il calato della Tonnara di Milazzo e di quella della Gabbia non fruttava i guadagni sperati. La società avrebbe comportato la suddivisione di costi e ricavi in ragione del 50%. In particolare entrambi i contraenti si obbligarono ad acquistare - in ragione appunto del 50% ciascuno - i quantitativi necessari di «cordicella, libani, medollari, sale, barrili, suari ed ogn’altro necessario alla pesca di detta tonnara» di Milazzo, fornendo nel contempo «a medietà (…) l’apparato di detta tonnara, corpo, culica, barcarizzo, palascarmi, ancore ed ogn’altro. Come pure approntare (…) medietà delli soliti marinari, fanti ed altra gente di servigio di detta tonnara».

Il marchese D’Amico avrebbe messo a disposizione della società il malfarace costruito dal padre Antonino, senza tuttavia richiedere al Proto alcun canone di locazione, dovendo quest’ultimo - quale corrispettivo - partecipare alla metà delle spese di manutenzione dello stesso fabbricato.

La Società avrebbe gestito con certezza le pesche del 1775 e del 1776 ed eventualmente anche quelle degli anni successivi. Tale incertezza derivava dalla gara d’appalto che lo Stato avrebbe bandito periodicamente per il «fitto del mare» della Tonnara di Milazzo, aggiudicato da ultimo proprio dalla famiglia dei marchesi D’Amico con scadenza 1776. Di seguito la trascrizione del contratto.


«Considerando noi infrascritti Barone Proto e Marchese Amico, quali padroni, cioè io Barone Proto della Tonnara della Gabbia ed io Marchese Amico di quella di Melazzo, che il calato di dette due tonnaje non ridonda a noi d’utile. Perciò abbiamo per il nostro comun vantaggio di ugual volontà fermamente stabilito di cedere io Barone Proto, e far cedere in avvenire dai miei Padre e fratello o altra qualunque persona, al calato della Tonnara sudetta della Gabbia o altra tonnara del mare di Levante, principiando dalla Tonnara di Melazzo sino al Malpertito, sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo. E tutti due insieme unirci in perfetta società a detta Tonnara di Melazzo, sì per le pesche prossime venture 1775 e 1776, quanto durar deve il fitto di mare nella personale sommessa di me Marchese Amico, come per tutti l’anni d’appresso in ogni tempo futuro secondo la liberazione [aggiudicazione, ndr] del mare medesimo si farà a noi o alle nostre sommesse persone. Quindi è che per il legame indissolubile di tal concordato sociale, stimando giusto formar scrittura, abbiam divenuto al presente alberano coi patti e convenzioni qui di sotto.

Così che noi sudetti ed infrascritti Don Francesco Barone Proto e Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, intervenienti del presente alberano da valere in ogni tempo futuro perpetuamente, come se fosse publico documento stipolato per atti di publico notaro, assistito dalla legale guaranteggia con l’obligazioni reali e personali, patti che diconsi de non opponendo et ad discursum giuramenti, renunce, e che tutto ha stile di publico notaro d’assoluto nostro volere e deliberata uguale volontà d’ogni miglior modo, e nella più debita ed opportuna forma per legge sostentabile per noi nostri eredi e successori, abbiamo stabilito, conchiuso e formato, conforme stabiliamo, concludiamo e formiamo, una perfetta unione e ferma società del calato del mare sudetto della Tonnara di Melazzo, che dobbiam fare tanto nelle sudette due prossime venture pesche 1775 e 1776, quanto in tutti l’anni d’appresso, sempre ed in ogni tempo futuro perpetuamente, secondo le liberazioni del mare di detta tonnara di tempo in tempo si faranno o a noi o a chichesia delle nostre sommesse persone. Con dover correre il tutto a commune peso, lucro o perdita, sì riguardo alla gabella del mare sudetto, come ad ogn’altro annesso e connesso alla raggione sociale in medietà per ogn’uno di noi contraenti.

Conveniamo di più e solennemente ci obblighiamo noi Don Francesco Barone Proto e Marchese Amico a noi stessi, reciprocamente stipolanti, di concorrere a medietà per ogn’uno a tutte le spese che annualmente bisogneranno farsi per il calato di detta tonnara, sia per compra di cordicella, libani, medollari, sale, barrili, suari ed ogn’altro necessario alla pesca di detta tonnara. Come insieme ci obblighiamo e permettiamo approntare e mettere a medietà per ogn’uno di noi l’apparato di detta tonnara, corpo, culica, barcarizzo, palascarmi, ancore ed ogn’altro. Come pure approntare ogn’un di noi medietà delli soliti marinari, fanti ed altra gente di servigio di detta tonnara, con soddisfarli respettivamente a mettà per ogn’uno di noi e fare tutto quello e quanto riguarda al buono ed espedito mistiere di detta tonnara. Con precedere l’estimo del corpo, o sia apparato ed attrezzi tutti di detta tonnara, per due prattici, uno per parte di me Barone Proto e l’altro di me Marchese Amico, per regolarsi ogni cosa ad equalazione fra di noi sempre ed in ogni anno perpetuamente durante la presente società.

Circa poi all’amministrazione di detta tonnara conveniamo di patto di reggere ed annualmente da padroni la tonnara medesima tutti e due noi Don Francesco Proto e Marchese Amico come se fossimo entrambi una sola persona. Rispetto però alli scrivani di detta tonnara, resta a noi la libertà di eliggere un scrivano per ogn’uno di noi, locché anche si senta per la elezione del portaro in tutto il tempo della società di eligerne uno per ogn’uno di noi infrascritti.

Si procede di patto che in ogni pesca che farà detta tonnara subito si facesse la divisione del prodotto in fresco per ogn’uno di noi, affin di disponerne della sua medietà in sodisfazione dell’oblighi che si trova contratti fin alla presente giornata. E per quello riguarda a nuove obligazioni o vendite del soprapiù che darà detta tonnara, farsi a comune piacere e vantaggio.

Si procede inoltre di patto che in ogni anno, tagliata la tonnara sudetta e nei primi di luglio d’ogn’anno, si debbano fare giusti e legali calcoli e conti del prodotto di detta tonnara, sì riguardo al contanti, come al salato ed asciutto. E dopo, dedotte le parti spettanti alli raisi e marinari come è solito, il di più divider devesi a medietà per ogn’uno di noi, cioè mettà per me Barone Don Francesco Proto e mettà per me Marchese Amico, sempre ed in ogni anno perpetuamente.

Se però dopo finite le due pesche sudette prossime venture 1775 e 1776 ed in ogni tempo d’avvenire vi fosse persona che offerir volesse al mare di detta Tonnara di Melazzo, con vantaggio alle nostre offerte, allora, ed in ogn’uno di detti casi, conveniamo e dobbiamo noi di Proto ed Amico ammettere le offerte delle terze persone o le medesime far aummentare dalle nostre persone sommesse su il piede che stimeremo ragionevole, per così restare sempre a nostro conto la gabella di detta tonnara e correre a commune lucro o perdita detta società. Al contrario poi, se riconosciamo d’essere notabilmente eccessive le offerte in quelli anni si faranno di detto mare dalle terze persone, ed in grado di doverle cedere, allora, ed in tal caso d’ora per allora, stabiliamo d’accordo per quei anni, che per detto effetto non cederà in nostra persona la gabella sudetta, ci obblighiamo di non vendere né gabellare i nostri proprj apparati alla persona o persone che dovrà o dovranno allora fare il calato di detta Tonnara di Melazzo. E contravenendo ciascuno di noi, chi allora di noi contraverrà sia tenuto ed obligato corrispondere e pagare all’altro di noi che non contraverrà onze [importo non indicato, ndr] l’anno. E ciò in ogni anno e per tutto quel tempo che tale contraveniente gabellerà o vendirà il suo apparato di tonnara come sopra.

Inoltre, si procede di patto espresso che io Marchese Amico per tutto il tempo perpetuamente di detta società non possi pretendere cosa alcuna dal sudetto Barone Proto o suoi per raggioni del mio malfarace esistente a luogo di detta Tonnara di Melazzo, stante questa essere stata la nostra convenzione a riserva della medietà di conci e ripari necessarij annualmente in detto marfarace e loggia, che deve contribuire sudetto Barone Proto.

E finalmente, in argomento della presente società e di quanto nel presente si contiene, io sudetto ed infrascritto Barone Proto, nella più debita ed opportuna forma per me e miei, prometto di cedere dalla pesca prossima ventura in avvenire ed in tutto il tempo futuro in che perdurerà ferma la società sudetta e far cedere, tanto dalli miei Signor Padre e fratello Abbate Don Cesare Mariano, come da qualsisia altra persona per li quali prometto di voto nomine proprio infra senza che mi potessi scusare d’esser promesso il fatto alieno al calato della Tonnara sudetta della Gabbia o altra Tonnara nel mare di Levante, principiando dalla Tonnara di Melazzo sino a Malpertitto sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo. Altrimenti voglio esser tenuto a tutti j danni, perdite, spese ed interesse, sotto l’espressa ipotega de’ miei beni ed averi e non altrimenti.

Per l’esecuzione quindi e puntuale adimplimento delle cose sudette abbiamo fatto il presente alberano sottoscritto di nostro proprio carattere con un altro consimile sottoscritto come sopra per restare uno in potere di me Barone Proto e l’altro di me Marchese Amico, per la comune nostra cautela. Ad effetto di pubblicarlo in ogni caso di contravenzione ad ogni nostra e chichesia di noi, anche l’uno independente dall’altro prima, a semplice richiesta per atti di publico notaro. A quale uopo ci abbiamo fatto procuradori inrevocabili correspettivamente per procura il di d’oggi stipulata agli atti di Notar Don Felice Garuffi e non altrimenti.

Oggi li 12 gennaro 1775

Tommaso Mariano Marchese D’Amico confermo come sopra

Francesco Maria Proto Barone dell’Albero confermo come sopra» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche]


La Tonnara di Capo d’Orlando. Il connubio siglato tra il Marchese D’Amico ed il Barone Proto non conseguì risultati esaltanti. E così, dopo aver calato per due anni la Tonnara di Milazzo, i due decisero di puntare sulla Tonnara di Capo d’Orlando, mai calata in tempi moderni. Nel 1776 i due aristocratici milazzesi misero così a disposizione della Tonnara di Capo d’Orlando sia l’apparato della Tonnara di Milazzo, di pertinenza del marchese D’Amico, sia quello della Tonnara della Gabbia, di pertinenza invece del barone Proto. Quegli stessi due apparati che con l’atto contrattuale del 12 gennaio 1775 erano stati uniti in vista del calo della Tonnara di Milazzo. Da parte loro i notabili di Capo d’Orlando si impegnarono a finanziare i novali, ossia i materiali da rinnovare in vista dell’imminente stagione di pesca. Che si rivelò tutt’altro che ubertosa. Anzi, si registrò persino la perdita di uno dei paliscarmi giunti da Milazzo. Un tentativo, quello del rilancio della Tonnara di Capo d’Orlando, ampiamente documentato dal Duca d’Ossada nelle sue Osservazioni pratiche intorno la pesca, corso e cammino de' tonni del 1816 (pag. 122). Lo stesso Duca d’Ossada non manca di segnalare che in quella sfortunata stagione di pesca del 1777 - contraddistinta da tempeste che danneggiarono anche la Tonnara di S. Giorgio -tanto il marchese Tommaso Mariano D’Amico, quanto l’Abate Cesare Mariano Proto, fratello del barone dell’Albero, si trasferirono a Capo d’Orlando per seguire da vicino le operazioni. Tornarono a Milazzo sconsolati, portando con sé i due apparati che furono nuovamente custoditi nel magazzino del Malfarace della Tonnara di Milazzo, chiamato non a caso il «magazzino dell’apparato», per essere nuovamente impiegati, nella stessa Tonnara di Milazzo, nel corso della stagione di pesca 1778, al termine della quale fu concluso il seguente atto contrattuale:

«Gesù Maria Giuseppe

Per il presente privato scritto, quale vogliamo che abbia forza e vigore di publico contratto garentito di tutti li patti, clausole e condizioni dalla legge voluti, e come se stipulato fosse per atti di publico notaro, lo infrascritto Marchese Don Tomaso Mariano D’Amico ed Abbate Don Cesare Mariano Proto dichiariamo che quell’apparato di tonnara che abbiamo in commune, la consistenza del quale si detegge dalla nota firmata tra di me Marchese D’Amico e Barone Don Francesco Maria Proto, fratello di esso signor Don Cesare, pubblicata agl’atti di Notar Don Felice Garuffi sotto dierum, resta indiviso ed oggi si riposta, come al solito, nel magazino di me sudetto D’Amico, detto dell’apparato, esistente nel mio malfarace della Tonnara di Milazzo. Con avere ogn’uno di noi per commune cautela una chiave del magazino sudetto. Ed è quell’istesso apparato che servì sì per calato della Tonnara di Milazzo, come pure nella Tonnara di Capo d’Orlando e nella presente pesca per la Tonnara di Milazzo nuovamente. Restando nella piena libertà di me sudetto Marchese D’Amico e di detto Abbate Proto di dividere, quante volte così a noi sarà per piacere, sudetto apparato. E per apparire in ogni futuro tempo per cautela dello stesso di Proto e di me Marchese Amico si è fatto il presente firmato di nostra propria mano, sendosi per patto convenuto che lo Marchese D’Amico non possa pretendere per il riposto di detto apparato di tonnara diritto alcuno di loero [canone di locazione, ndr] o altro dal sudetto di Proto. Avendo fatto per la validità del presente noi sudetti ed infrascritti procura in persona di noi stessi ad publicandum il presente atto dichiarativo, o sia alberano. E diamo in vigor del presente a qualunque publico notaro di questo Regno l’assenzo di potere il medesimo in forma publica ridurre a [segue termine di ardua trascrizione, ndr] d’ogn’uno di noi contraenti e non altrimenti, né in altro modo.

Oggi in Melazzo lì 27 giugno 1778

Cesare Abbate Proto confermo come sopra

[Marchese Amico confermo come sopra]» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche]


La Tonnara del Tono. Nel contratto di cui sopra il marchese D’Amico e l’abate Proto dichiaravano di fatto di continuare la  loro società, rimanendo indivisi i rispettivi apparati. Ma l’abbandono della Tonnara di Milazzo da parte del marchese Tommaso Mariano D’Amico era ormai alle porte. Stava infatti meditando di prendere in affitto («in gabella») la Tonnara del Tono, dalla prima metà del Settecento di proprietà della famiglia Marullo di Messina:

«Spettabile Signor Dottor Don Giuseppe Ragusa, Giudice della Regia Corte Civile di questa Sempre Fidelissima e Leale Città di Milazzo

L’illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, nella prevenzione di doversi da Vostra Signoria Spettabile per il giorno 20 del corrente mese Xbre liberare la gabella del mare della Tonnara detta del Tono, con suo marfarace, al maggior dicitore ed ultimo offerente, a tenore del provisionale spedito dal Tribunale della Regia Gran Corte Civile sotto li 20 del prossimo passato mese 9bre 1778 e di esservi stata fatta offerta sotto li 15 del ridetto corrente mese Xbre dall’Illustre Duca di Ossada Don Franceseco Carlo D’Amico per anni otto, cioè anni quattro di fermo ed altritanti di rispetto su il piede di onze 70 all’anno e sotto quei patti contenuti ed espressati in detta annunciata offerta. Volendo far cosa grata ai condomini della espressata tonnara, offerisce e meliora la surriferita offerta fatta dal predetto Illustre Duca di Ossada sotto li istessi patti meglio descritti in essa offerta, onze 90 all’anno, vale a dire onze venti più del piede delle onze 70 offerte dal sudetto Illustre Duca d’Ossada. E questo per li medesimi anni otto di gabella, cioè anni quattro di fermo ed altritanti di rispetto, ad elezione di detto offerente, giusta la predetta offerta fatta dal summentovato Illustre Duca e non altrimenti, unde.

Tommaso Mariano Marchese D’Amico confermo come sopra» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche].


Un Proto minaccia gli interessi economici del marchese tentando di soffiargli la Tonnara di Milazzo. La Tonnara di Milazzo fu comunque gestita dal marchese Tommaso Mariano D’Amico per un altro biennio. Ciò si evince in primo luogo dai conti della taverna sia per l’anno 1779 che per il 1780. Tale contabilità riporta i nominativi dei rais (Francesco Camarda e Nicolò San Giorgio, ai quali nel 1780 si aggiunse Francesco Peresi) e del resto della “chiurma”, ossia marinai (tra gli altri Croce Scarmato, Matteo Basile, Saverio Vicari, Emiliano Napoli, Francesco Puglisi e Gioacchino Camarda), faratici ed i quattro muciari (Francesco Minuti, Giovanni Puglisi e Fedele Camarda furono presenti in entrambi gli anni), ma anche quello del maestro d’ascia Gregorio Rizzo.

Una lunga missiva del 22 febbraio 1779, spedita al marchese da un cugino di nome Giuseppe, evidenzia le difficoltà riscontrate dallo stesso marchese nell’aggiudicarsi il «fitto del mare» per il biennio in questione. Ad opporsi al suo desiderio di gestire per altri due anni la Tonnara di Milazzo fu un Proto, rappresentato da un Lo Miglio e soprattutto da un Placido Sgrò, che offrì in sede di gara - per conto del Proto - un canone anno di 70 onze, «ma senza l’obligo di calare». Un’offerta che tendeva a danneggiare gli interessi economici del marchese D’Amico e di ciò ne erano consapevoli tanto Costantino D’Amico (1741-1800), cognato del marchese (aveva sposato la sua unica sorella Caterina) nonché fratello del Duca d’Ossada Francesco Carlo D’Amico, quanto Girolamo Bonaccorsi, che assieme al marchese avrebbe gestito sino al 1790 la Tonnara del Tono, quanto ancora il citato Duca d’Ossada. Al contrario, l’offerta presentata da un La Malfa per conto del marchese Tommaso Mariano D’Amico prevedeva un canone più basso (50 onze) da versare per ciascuno dei due anni ed, oltre al versamento delle 65 onze dovute al Comune di Milazzo per la gabella del pesce, una penale di 200 onze da versare annualmente alla Regia Corte nel caso non si fosse calata la tonnara. L’offerta del La Malfa era supportata dai saggi suggerimenti del Duca S. Giorgio, ossia il Duca d’Ossada. Suggerimenti che trasparivano nella supplica presentata dallo stesso La Malfa, in cui peraltro si faceva cenno alla precedente aggiudicazione, nella quale si preferì un’offerta di 70 onze ad altra più elevata (100 onze) ma sprovvista di penale in caso di mancato calo della tonnara. I saggi consigli del Duca d’Ossada ebbero la meglio e così la gara fu aggiudicata in data 23 febbraio 1779 al La Malfa (e dunque al marchese D’Amico), anche se il Proto minacciò di presentare ricorso.


«Milazzo, 22 febraro 1779

Signor Cugino dilettissimo

Nel tempo stesso che m’imponeste di servirvi per l’affare del fitto della Tonnara, io me ne avea da me stesso incaricato subito che Rizzo mi riferì d’aversi presentato il dispaccio in Secrezia all’arrivo del Signor Duca San Giorgio. Infatti andai a leggere il contenuto di esso dispaccio. E per la condizione di liberarsi per un solo anno, qualora consentisse l’offerta La Malfa, o per due nel caso di suo dissenso, inrinovai, e si formò una supplica per la quale il Malfa si dichiarava di non consentire per la liberazione d’un anno e di volerla per due a tenore di Sua offerta. E si disposero j pezzini al publico, fissando la liberazione per il giorno di dimani 23 del corrente. Indi Rizzo m’informò secretamente della lettera che vi bisognò mandare con serio, consegnatali da Don Costantino per manifestarvi la minaccia del Signor Proto. E vi assicuro d’avermi amareggiato, riflettendo il dispiacere che recar vi dovea. E quindi parlai col Signor Don Gerolamo Bonaccorsi e Duca San Giorgio. Convenimmo che sarebbe un volervi fare del male, senza capimento e col positivo loro interesse, non avendo più apparato. Si diceva che Voi in caso di maggiore offerta vi dovressivo ritirare con penzare al vostro Capobianco o altra parte, per non restarvi infruttuoso l’apparato. Io però aggiunsi che, pria di ciò fare, era necessario mettersi una condizione che dovrebbe pensare il Proto a non poterla superare. Valeva dire di obligarsi Malfa a calare con effetto per due anni la tonnara, qualità che il Proto non avrebbe potuto superare. Ma a buon conto si risolse di attendersi il ritorno del vostro serio per sentire i vostri sensi. Venuto questo, e rese da Rizzo le lettere a San Giorgio e Don Costantino, ci siamo uniti con San Giorgio e risolsimo alla supplica fatta di Malfa, come sopra vi dissi, dichiaratoria dell’animo suo di volerne per due anni la liberazione. Ch’egli per far vedere la grande utilità della Regia Corte si obligava per li due anni calare la tonnara, e non calandola in pena obligarsi pagare alla Regia Corte onze 200 all’anno, le onze 65 alla Città per la gabella del pesce, oltre le onze 50 del fitto e gl’altri dazi secondo l’offerta da quel patto ricavare la Regia Corte. Che sperimentandosi la tonnara con frettilità, potere nel sequente arrendamento ricevere aumento di gabella e dal prodotto del pescato conseguire tratta ed altri emolumenti. So per rapporto del Signor Miglio, fatto a San Giorgio questa sera, che Placido Sgrò offerir volea onze 70 all’anno, ma senza l’obligo di calare. Per il che il San Giorgio li disse di non essere al caso, avendo parlato col Segreto questa mattina. Come ancor io pratticai per sistemarlo, come consentì, che il patto di calar la tonnara si più profittevole. E di fatti nella supplica si pose ancora il riflesso che nel trascorso arrendamento il Tribunale, giusta il sentimento del Proconservadore, considerò più profittevole l’offerta di onze 70 da quella di onze 100 di mastro Giovanni D’Amico, senza l’obligo di calar la tonnara. Il Miglio però richiese da San Giorgio se avea commissione da voi per accomodare, giaché nella lettera di Don Costantino vi spiegaste che avevate scritto a San Giorgio, il quale si negò dicendo che solamente da voi gli fu raccomandata questa sua pendenza. Senz’altro fin qui son le cose e sono le due della notte. Domani mattina è designato congresso per la liberazione e pria di serrar la presente sarò in grado di avvisarvi l’esito. Frattanto ò prevenito Rizzo e Grande di star pronti per disponersi colla mia direzione quanto converrà al vostro vantaggio, per cui in ogni occorrenza vostra potete restar sicuro come di voi stesso. E vi ò voluto di tutte le anzidette minuzie informare, poicché vi compatisco agitato da lontano in affare di tanta premura.

(…) Vi ringrazio delle calzette che dal maestro riceveste doppo partito San Giorgio e l’attendo con commodo in union della nota di spesa per rimborzarvene.

Per cultura de’ vostri effetti, dicovi che bisognò sospendersi di zappare j canneti vostri in Puzzo di Perla, poicché coi tempi caldi che [h]an corso erano gettati e faceasi piùtosto danno, come similmente sospese Don Costantino per i suoi dotali. In Brigandì si è principiata la puta del bianco e si sta impalando. Di qual servigio sono allestite le vigne di San Giovanni e San Paulino e cruciate d’aratri, avendo rimproverato il bogaro di non aver veduto in San Giovanni ieri l’altro, che vi andiedi, a dovere il cruciato, incaricandolo di far meglio in appresso.

Avantieri mandai Galoffaro colla chiave in Brigandì in unione di Rizzo che per vostra commissione mi disse doversi consegnare a Don Carlo Giovanni D’Amico il poco vino bianco che vi era. E fu con effetto consegnato in salma una e quartari cinque. E similmente il carratello che Rizzo mi disse avervi costà mandato, siatene in intelligenza. Per il resto che dovete disponere in vostro vantaggio.

(…) Sta per passare la posta e perciò metto la presente senza puotervi riscontrare l’esito della liberazione in Segrezia, giaché fin ora s’à atteso il Secreto e non à comparso, anche ricercato. Si fa giudizio essere opera del Signor Proto e fin ora anche non s’à potuto saper l’idea. Sicché abbiate la sofferenza di attendere l’ulteriori riscontri che con commodo vi darò. E vi abbraccio.

(…) Toglietevi di sollecitudine, giaché in punto si fece la liberazione a Malfa senz’aver comparso offerta contraria alcuna. E prima di sabato, per via di San Giorgio, riceverete il contratto per mandarlo in Palermo. Ove bisognate prevenire, giaché, come mi riferì San Giorgio, per detto di Miglio minacciò il Proto di farne in Palermo qualche cosa, se pure si verificherà. E di nuovo vi abbraccio (…).

Vostro Cugino Giuseppe

[Al] Signor Marchese D’Amico, Messina» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche].

Da una missiva inviata in quello stesso giorno al marchese da Giovan Battista Rizzo, persona di sua fiducia che curava gli interessi delle sue proprietà (era peraltro il padre del maestro d’ascia Gregorio citato in precedenza), emerge che il Proto concorrente del marchese era uno dei soci coi quali lo stesso marchese aveva condiviso la sfortunata esperienza dalla Tonnara di Capo d’Orlando. Un’esperienza accompagnata da dissidi e dissapori, tanto più che alla base dell’impegno del marchese nella Tonnara di Capo d’Orlando c’era la promessa - non mantenuta dai Proto - della Tonnara di Vaccarella:

«A Sua Eccellenza Signor Marchese Amico, Messina
Milazzo, lì 22 febbraio 1779.

Eccellenza,
ho consegnato al signor Don Carlo di Giovanni il vino biancho di Brigandì in salme 1.5, unitamente col quartarolo che sarà consegnato a Vostra Eccellenza da Padron Antonino Caponi.
Ieri ad ore 17 ritornò il corriero rimesso per l’affare della tonnara. Subbito andaj a trovare al signor Catanzaro e signor Duca S. Giorgio e consegnai la lettera. Ed avendo letto la sudetta lettera andiammo a trovare al signor Miglio per ripigliarci la supplica fatta, per aggiungere tutti quei patti che si stimarono necessarij a tale assonto. La disgrazia apportò che detto signor Miglio si trovò in campagna e sino ad ora una di notte non era ancora venuto. Si rimese che questa mattina si farà quanto si è disposto. Credo però che, vedendo la supplica fatta, li signori di Proto non averanno l’ordine passare innanzi. Si parlò al Segreto di bella maniera e detto signore pare essere inclinato a favore di Vostra Eccellenza. Ma non lascio dire essere suo [segue termine di ardua trascrizione, ndr] si da incarico all’ordine che dice di calarsi la tonnara per la nova sperienza.
Consegnai la lettera al signor Don Costantino, il quale la lessi alli signori di Proto. Altro non pottè ricavare. Se non che il signor baronello Don Paulo vuole aumentare [?] onze 20. Il barone grande li rispose che allora si ne parlerà quando si bandizza e [segue termine di ardua trascrizione, ndr] il signor Don Costantino, secondo il suo parlare che faceva, volea qualche libertà di accomandare, dicendo la perdita fatta soffrire Vostra Eccellenza alli detti signori. Ed io li rispose che detti signori fecero soffrire a Vostra Eccellenza per la mancanza li fecero di Vaccarella, che Vostra Eccellenza non avea simili penzieri di andare in Capo d’Orlando se non avea tale promessa. Ma Vostra Eccellenza in detta lettera li taccia di buona maniera a’ detti signori.
Io credendo che Vostra Eccellenza si portava in questa per questi giorni, che però ho scritto per li legni. Vostra Eccellenza mi dica se vuole che si compria, gia che sono inviati i legni [segue termine di ardua trascrizione, ndr] e sono apprestato di dare le onze 6 per li cantara 200 e più che stanno trasportando in Fondachelli e giornalmente ne portano in tonnara.
Venne una barca napoletana che cerca [segue termine di ardua trascrizione, ndr]  e venderono li signori Proto, Signor Bonaccorso [?]. Io non mi prese libertà di darci quel poco che si trova in tonnara. Se Vostra Eccellenza vuole mi lo avisa. Allorché Vostra Eccellenza mi dia tali libbertà, lo praticherò colla presenza delli rajsi che sono in tonnara che frabicano la rete. Con primo commodo Vostra Eccellenza può mandare li chiodi barcalori ed ottantini e rotoli 15 di stoppa di calafato, mentre qui ne ho comprato rotoli 25 a grani 7 rotolo, non avendo potuto avere tutto il ***. Non devo dire altro. Mi resto a suoj ordini.
Di Vostra Eccellenza
suo umilissimo servo,

Giovanni Battista Rizzo» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche].







APPENDICE I

La documentazione riportata di seguito è custodita presso l’Archivio Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, “amministrazione delle tonnare, carte settecentesche”.


§I

Fornitura quotidiana tonni freschi pescati nella Tonnara di Milazzo da inviarsi a Messina, a cura del marchese Don Antonino D’Amico, nei mesi di maggio e giugno 1766: acquirente il messinese Leonardo Galati.

Alberano con l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati

Iesus Maria Ioseph

Noi sottoscritti l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati, per il presente scritto valituro come publico contratto guarentiggiato con li patti soliti di non opponersi, dichiariamo di aver io di Amico venduto dal primo pesce che pesca questa Tonnara di Melazzo sino all’ultimo di questa attuale pesca 1766, mandare cantara dieci il giorno o sia per mare, o sia per terra con le cavalcature nelle Città di Messina, per risico e pericolo di me, sudetto di Galati. Ed io sudetto di Galati dichiaro di aver divenuto alla sudetta compra, bene inteso che di tutti i giorni sine sentono esclusi due la settimana, cioè il lunedì per il martedì e il sabbato per la domenica, stando in disposizione di me di Galati, in caso in detti due giorni lo volesse, che devo richiederlo per lettera.

Per il prezzo per tutto il mese maggio devo pagarla io sudetto di Galati a tarì quarantacinque il cantaro e per il mese giugno a tarì trenta otto il cantaro, consignando pagando. Qual pagamento deve essere giusto quanto va [?] scritta la tonnina pesata in loggia dallo scrivano di detta tonnara, nella quale pesandosi sia da notare in detto libro rotolo due a cantaro meno nel peso sudetto, che si ribasciano per battimenti. E detti tonni [h]anno da essere mandati freschi. E solo si è convenuto io di Galati ricevere di un giorno prima per tutto il mese maggio presente. Onde per sapersi la verità del nostro convenuto, si sono formati due consimili di propria mano di me di Galati a fine di averne memoria del concertato, per disimpegnare la nostra obligazione per l’adempimento del nostro convenuto del presente alberano, avendo divenuto senza procura a publicandum per trattarsi affare di negozio. Che mancando ogni uno di noi sudetto di Amico e Galati alli impegni e senza strepito di giudizio cerchiamo per giudice allo spettabile Consolato di Messina e però ci sottoscriviamo confirmando come sopra.

Oggi in Melazzo, lì 2 maggio 1766

Marchese Amico confermo come sopra

Leonardo Galati confermo come sopra



§II

Il marchese Antonino D’Amico ed il messinese Leonardo Galati convengono in data 1 maggio 1767, a parziale modifica di quanto da loro stipulato il giorno stesso davanti al notaio, di dividere il pescato del 1767, verisimilmente della Tonnara di Milazzo, in due eguali porzioni, una destinata alla vendita di tonno fresco a Messina per conto esclusivo del Galati e l’altra alla lavorazione sotto sale in tonnara ad opera del Galati, ma in società col marchese. La scrittura privata trascritta di seguito aveva con tutta probabilità lo scopo di frodare il fisco.

Iesus Maria Ioseph

Noi sottoscritti l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati per il presente scritto valituro come publico contratto, quarentiggiato con li patti soliti di non opponersi, dichiariamo di aver io di Amico venduto a detto di Galati tonnine fresche cantara duecento con doverli salare in questa tonnara. Essendo detti cantara duecento tonnine che si devono salare correre a conto ed a risico di me sottoscritto di Galati ed Amico, cioè medietà a conto di Amico e medietà a conto di Galati, pagandola al prezzo di onze una e tarì quatro e grana 10. E con tutti quelli patti, clausoli e condizioni nel contratto fatto oggi il primo maggio 1767 per li atti di Notar Garuffi. La pura verità si è che la somma di detta tonnina non è per cantara quattrocento, come appare per il contratto per li atti di Notar Garuffi, essendo per onze duecento e li altri cantara duecento, complimento di cantara 400, sono per portarmeli io di Galati nella Città di Messina. E sono al prezzo di tarì quarantacinque cantaro per tutta quella tonnina si consegna nel mese maggio e per quella si consegna per tutti li 13 giugno 1767 a tarì trentacinque cantaro. E non complendosi in detti tempi questi cantara duecento, dovendosi in fresco, si abbia il meno a comprendere nel salato. Onde per sapersi la verità del nostro convenuto si sono formati due consimili di propria mano di me di Galati a fine di averne memoria del concertato, per disimpegnare la nostra obligazione per adempimento, come per il presente ci confermiamo oggi il primo maggio 1767.

Marchese Amico confermo come sopra

Leonardo Galati confermo come sopra



§III

Leonardo Galati scrive al termine contrattuale della campagna di pesca 1768, ossia in data 13 giugno. Si chiudono i conti, ma l’annata è stata per lui sfortunata, malgrado avesse strappato al marchese D’Amico il vantaggioso prezzo di acquisto di tonnina fresca di tarì 40 il cantaro nel mese di maggio. Non gli viene nemmeno riconosciuto l’errore da lui riscontrato relativamente al carico dell’«ultima barca di tonnina», errore che gli offre lo spunto per uno sfogo, lamentandosi di aver di fatto lavorato per i proprietari di tonnara, piuttosto che per suo proprio conto: «come passò l’affare lo sa Iddio. A tutti lor Signori mezzo cantaro più e meno niente importa ed a me mi importa assai. Del resto per denari non ò stato mai abbadato. Facciano come li piace. In questo anno ò travagliato per li padroni di tonnara. Quando dovea godere a tarì 40 cantaro si à perso la tonnara a non pigliare più un grano».

Eccellenza,

li accludo la nota a Vostra Eccellenza da cotesto Don Francesco Eustachio, procuratore del monasterio di Rimetta, per il ricorso fatto in Palermo. E oggi fu dato ordine al Signor Ministro Don Francesco Gemelli per farci pagare il cenzo che Vostra Eccellenza deve in ogni anno. Che dalla acclusa nota Vostra Eccellenza potrà restar informato e, considerando la bisogna, benignarsi darmi di un subbito risposta come deve esser servito. Se si compromette darli le tonnine dell’anno 1767 e 1768 due annualità, come asserisce che Vostra Eccellenza li aggrava di esigersi sopra detto cenzo in rotoli di tonnina l’affitto di magazeno ad altre spese, sentendo non esser obligato a pagar niente per esser cenzo. E così quello che devo pregar a Vostra Eccellenza darmi distinta risposta, avendosi trattenuto di non far mandare il portero in Melazzo per questo affare secondo a l’ordine il Signor Ministro, ma perché il procuratore mi à voluto fa[v]orire [e così] si à sospeso ogni cosa insino che Vostra Eccellenza darà riscontro di tutto e come deve esser servito.

Le tonnine salate nella stipa grande se può sortire che farà pagare quello avanzo che vi sarà essendo più facile alla vendita.

Ricevei il novo conto per mano del mio compare Don Fidirigo e non ò avuto bastante tempo, considera[n]do a fare il confronto per non esserci danno né per me, né per Vostra Eccellenza, essendo il mio piacere praticare il giusto. Resti però prevenuto che nel mio avere mi deve passare altri onze quattordici, tarì 1.10, che in appresso mandirò distinta nota. Per soddisfazione di Vostra Eccellenza basta che resti inteso Vostra Eccellenza doversivi passare onze 14.1.10.

Mi scrisse il Signor Don Francesco Puglisi e compare Don Fidirigo per li errore nell’ultima barca di tonnina, legitimandosi non esserci nessuno errore. Io posso dirli a Vostra Eccellenza che il mancamento li ò avuto da me mai pratticato, come passò l’affare lo sa Iddio. A tutti lor Signori mezzo cantaro più e meno niente importa ed a me mi importa assai. Del resto per denari non ò stato mai abbadato. Facciano come li piace. In questo anno ò travagliato per li padroni di tonnara. Quando dovea godere a tarì 40 cantaro si à perso la tonnara a non pigliare più un grano. Non ò altro che dire, restando prontissimo alli comandi di Vostra Eccellenza con tutti di questa casa.

Messina, lì 13 giugno 1768

di Vostra Eccellenza Signor Marchese Amico

mmilissimo suo divotissimo suo obbligato suo servitore

Leonardo Galati






Crediti del marchese D'Amico per tonnine salate vendute a diversi soggetti (1769)

§IV

Fornitura libàni di Spagna. I libàni di sparto altro non erano che cordami di fabbricazione spagnola. Si vendevano a dozzine. Il duca d’Ossada, Francesco Carlo D’Amico (1740-1825), nel 1816 riferiva che i più pregiati erano «quelli del mazzarrone o pure di Alicante, chiamati libani cinquini». Intrecciando 3 o 4 libani si otteneva un “resto”, ossia una gomena solitamente impiegata come cavo di “summo”, al quale si appendevano le pareti delle camere. I “summi” erano cavi galleggianti, essendo sostenuti a galla da sugheri. Nel marzo del 1780 lo stesso Duca d’Ossada ordinò a Napoli, tramite il fratello Cesare, 60 dozzine di libani. Non essendo riuscito a farli recapitare sino a Milazzo, pregò suo cugino, il marchese D’Amico, che allora risiedeva a Messina, di prenderli in carico assieme ad una corniola incastonata in oro e recante inciso un cupido.

Napoli, 5 di marzo 1780

Sua Eccellenza Signore Marchese D’Amico, Messina

Signor cugino amabilissimo,

il Duca mio fratello, che da più tempo m’ha commissionato la rimessa di dozzine 60 di libani, m’ha prevenuto che, qualora non potessi trovare un imbarco che li trasportasse addirittura in Melazzo, li dirizzassi a voi.

Su tal prevenzione formo a voi la presente compiegandovi poliza di carico di esse dozzine 60 di libani che vi saranno consegnate da Padron Crescenzio di Lauro, cui pagherete di nolo ducati 24 che v’intenderete coll’istesso Duca mio fratello, che mi significa d’avervi di tutto prevenuto.

In si fatta circostanza non lascio di ri[n]novarvi il cordiale mio attaccamento e la brama che nudro de’ vostri pregiatissimi comandi, in attenzione de’ quali, riverendo tutti di vostra Famiglia, vi abbraccio e mi rapporto.

Vi rimetto per l’istesso Padrone Crescenzio una corniola legata in oro colla incisura d’un cupido che rimetterete a mio fratello.

Divotissimo obbligatissimo servitore vostro e cugino

Cesare D’Amico



§V

Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola una prima porzione del pescato 1784 della Tonnara del Tono

Gesù Maria Giuseppe

Convenendo a noi infrascritti Francesco Savioti e Giuseppe Di Bella proseguire pella prossima ventura pescagione 1784 il traffico delle tonnine fresche ed a salare nella Tonnara del Tono, oggi amministrata dall’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico. Come insieme sendo io sudetto D’Amico nella bisogna dello sborzo di alcune somme per supplire alle ingenti spese del calato di sudetta Tonnara in detto venturo anno, perciò d’unanime consenso e volontà abbiamo stabilita la presente convenzione per via d’alberano, quale vogliamo che abbia forza e vigore di publico strumento garenteggiato delli soliti patti e della via executiva, in vigore del quale si conviene e stabilisce.

Primieramente devo io sudetto Illustre Marchese, compita la obligazione della Piazza e Taverna in cantara tre al giorno di tonnina fresca, dare e consegnare alli sudetti Savioti e Di Bella la metà di quella tonnina che resterà in loggia per mio conto, principiando dal primo di maggio sino alla tagliata della tonnara. E ciò sino alla quantità di cantara quattrocentosessanta in fresco, da pesarsi colla solita statera. Dovendo noi sudetti Savioti e Di Bella pagare detta tonnina alla raggione di onza una e tarì dieci cantaro dal primo di maggio sino alli 15 di sudetto mese e ad onze 1.7 dal giorno sedeci sino al termine della pesca di essa tonnara. Così di commune accordo per patto.

Inoltre devo io sudetto Marchese delli palamidi che pescherà sudetta tonnara in tutto il corso della pesca, compite le obbligazioni di piazza, taverna e camparia, dare e consegnare alli sudetti Savioti e Di Bella n.° 300 palamidi al giorno alla raggione di due terze parti di come si pescheranno. Ed una terza deve per mio conto libero remanere. Così ancora delli palamati, compita la piazza, devo darglene cantara due al giorno. Da doversi liquidare in quanto alli palamidi dal principio sino al termine ad onze 1.10 per cento e li palamati ad onze 1.7 cantaro nella stessa forma.

Detto che j tonni di cantaro a basso devono essere e pesarsi colle loro teste e di cantaro in sopra devono levarsi le teste. E ciò quando la consegna giornale della tonnina supererà li cantara sei al giorno sic ex accordio.

M’obligo io sudetto ed infrascritto Marchese dare alli sudetti Savioti e Di Bella il sale e barrile necessario in tutta la pesca, con passarlo aj medesimi al prezzo corrente. Ed il commodo in tonnara per fare il salato sudetto.

Confesso io sudetto ed infrascritto Marchese Tommaso Mariano D’Amico dalli sudetti Savioti e Di Bella la somma di onze cinquecentosessantotto di denari contanti, onze sessanta quelle stesse che deve per una tratta da pagare a 18 corrente agosto Francesco Savioti ed onze 100 s’obligano sudetti Di Bella e Savioti pagarle a 20 Xmbre venturo 1783.

Delle quali somme componenti in tutto la somma di onze settecentoventotto, in quanto a quelle ricevute gle ne fo apoca di pagamento a stile di publico notaro per conto dell’obligazione anzidetta. Ed in quanto alle onze 100 da pagarsi da noj infrascritti Savioti e Di Bella nelli 20 del prossimo venturo Xmbre 1783, vogliamo ed intendiamo restar tenuti ad ogni danno ed interesse in caso di ritardato pagamento solo juramento.

Devono le somme sudette estinguersi e scomputarsi colla consegna delle tonnine, palamati e palamidi che s’andranno di giorno in giorno consegnando alli sudetti Savioti e Di Bella nel corso di sudetta pesca 1784. Ma quando maj nella prossima ventura pescaggione in tutto o in parte non potrà compirsi lo sborzo della somma di sopra partitamente descritta, in questo caso quel tanto che resterà in debbito detto Illustre Marchese noj infrascritti Savioti e Di Bella vogliamo e ci contentiamo che lo sodisfi nella susseguente pescaggione 1785. Con questo però che della somma resterà in debbito detto Illustre Marchese a tagliata di tonnara, non facendosi altra convenzione deve dalla liquidazione del conto sino a Xbre pagare il sei per cento sic ex accordio.

Per adempimento di quanto nel presente si contiene, noj sudetti ed infrascritti Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, Francesco Savioti e Giuseppe Di Bella abbiamo fatto il presente alberano di cui se ne sono esemplati due consimili, uno per restare in podere di noj sudetti Savioti e Di Bella pella nostra cautela ed altro in podere di me Marchese Amico. Avendo pure oggi stesso, per potersi il presente in caso di contravvenzione publicare, stipulata unitamente procura ad publiandum alberanum in persona in noi sudetti ed infrascritti contraenti reciprocamente per atti del notaro Don Pietro di Lisi di questa sudetta città e non altrimente.

Oggi in Messina li 6 agosto 1783

Tommaso Mariano Marchese D’Amico confermo come sora

Francesco Savioti confermo come sopra e mi sottoscrivo per me e Giuseppe Di Bella.



§VI

Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola una seconda porzione del pescato 1784 della Tonnara del Tono

Gesù Maria Giuseppe

Sendosi fra noi infrascritti illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico e Gioachino Calabrò convenuta pella pesca prossima ventura 1784 la seguente obligazione sopra la Tonnara del Tono, perciò abbiamo stimato la medesima per via del presente privato scritto formale pella reciproca cautela, dichiarando lo stesso e volendo che sia valido come publica scrittura, da cuj ne potesse nascere ogni pronta esecuzione pelle vicendevoli obbligazioni in esso contratte. Il tutto a stile di publico notaro.

Primieramente m’obligo io sudetto ed infrascritto Marchese dare e consegnare nella loggia della Tonnara del Tono colla solita statera al sudetto di Calabrò la quantità di cantara sessanta tonnina fresca alla raggione di terza parte di quella che resta in loggia per mio conto, restando prima compite interamente le obbligazioni di piazza, taverna e di Francesco Savioti, da me anticipatamente contratte. E ciò fino alla quantità di sudette cantara sessanta. E compendo non resti ad altro tenuto ed obligato, potendo, compita sudetta quantità, anche disponere in favore di chi più mi piacerà la sudetta terza parte nella maniera come sopra s’è descritto e stabilito.

Inoltre devo consegnarle giornalmente nel corso della pesca di sudetta tonnara palamidi n.° 50, prendendone la quantità di pesci n.° 500. Sormontando detto numero e giungendo fino alli 1000 altri n.° 50, avanzandosi li mille pesci altri 100. In tutto possa consegnare io sudetto di Calabrò n.° 200 pesci di mano in mano, pescandosi tutta la quantità di sopra descritta. E pigliandosene meno a tenore di come sopra resta disposto e concertato. E ciò sino alla quantità in tutto di pesci n.° 3000 tantum et dumtaxat.

E per fine debba io sudetto Marchese consegnarLe in ogni giornata, pescandole sudetta tonnara, cantara due palamati al giorno alla raggione di terza parte di quelli vi saranno in loggia per mio conto. E più, compite e sodisfatte le obbligazioni di piazza e Francesco Savioti, colla stessa regola che di sopra s’è convenuta anche pell’altri pesci che sono stati obligati.

Li prezzi di sudetta tonnina, palamati e palamidi, debbono ragionarsi come al seguente modo. Della tonnina dal principio della pesca sino a tutto maggio ad onze 1.15 cantaro e dal primo giugno sino alla tagliata di tonnara ad onze 1.10 cantaro. Dei palamati ad onze 1.12.10 dal principio fino al termine della pesca e dello stesso prezzo di onze 1.12.10 li palamidi dalli primi sino all’ultimi consegnandi sic ex accordio e di unanime consentimento.

Confesso io sudetto ed infrascritto marchese la somma di onze cento contanti dal sudetto di Calabrò ed altre onze venticinque mi obligaj ed obligo io sudetto ed infrascritto Gioachino Calabrò pagarle e sodisfarle all’illustre Marchese a proprie mani F. I. nella vigilia del prossimo Santo Natale.

Per adempimento di quanto nel presente si contiene e s’è stabilito, noi infrascritti Marchese D’Amico e Gioachino Calabrò ci costituiamo [segue formula giuridica latina di ardua trascrizione, ndr] per poter sempre ed in ogni caso il presente publicare in caso d’inadempimento del medesimo. Ed abbiamo del presente formato due consimili, uno da restare in potere di me marchese Amico ed altro in potere di me infrascritto Gioachino Calabrò e non altrimente.

Oggi in Melazzo 23 ottobre 1783

Tommaso Mariano Marchese D’Amico confermo come sopra

[Gioachino Calabrò confermo come sopra]

Tagliata la tonnara e fatti li conti [segue termine di ardua trascrizione, ndr] che dovrò io infrascritto Marchese rifare o restituire al sudetto di Calabrò debba praticarlo ad ultimo luglio 84 sic ex accordio.



§VII

Contabilità obbligazione pescato 1784 della Tonnara del Tono (Savioti e Di Bella)

Dare Francesco Savioti e Compagni per la tonnina, palamati, palamidi, sale e barrile dati in questa Tonnara del Tono nella Pesca 1784

- In primis onze 265.18.9 sono prezzo di cantara 214.69 tonnina, cioè cantara 8.96 a tarì 40 [onze 1.10, ndr] e cantara 205.73 a tarì 37 [onze 1.7, ndr], dico onze 265.18.9;

- più onze 2.21.8 sono prezzo di cantara 2.20 palamati a tarì 37, dico onze 2.21.8;

- più onze 38.6 sono prezzo di n.° 2.865 palamidi a tarì 40 centinajo, dico onze 38.6;

- più onze 11.8.5 prezzo di sale grosso e molito, cioè cantara [non indicato, ndr] grosso e cantara [non indicato, ndr] molito a diversi prezzi, dico onze 11.8.5;

- più onze 15.2.10 prezzo di n.° 181 barrile, cioè tarì 2.10 per uno, onze 15.2.10.

Totale dare, onze 332.26.12 [si tenga presente che un’onza equivale a 30 tarì ed un tarì a 20 grani, ndr]

Avere sudetti di Savioti e compagni per quante si ne confessarono dell’alberano del 16 agosto 1783, onze 568;

più per quanto si pagò in Messina a 18 agosto al spettabile marchese Carrozza, onze 60;

più pagate a 20 7bre 1783 in saldo, onze 100;

più per [segue termine di ardua trascrizione, ndr] si bonificano annualmente per fitto dell’arzanale, onze 2

Totale avere, onze 730 [dedotte dalle quali il dare di onze 332.26.12] resta credito onze 397.3.8.



§VIII

Oggetto del presente atto - datato maggio 1791 e disposto dagli amministratori comunali (giurati) previa istanza del sindaco - è la quota di pescato destinata per consuetudine alla Piazza, ossia alla locale pescheria per la vendita al minuto. Il documento in questione raccoglie tre relazioni di altrettanti commercianti che si erano aggiudicati tale quota di pescato. Mario Raffa, ad esempio, affermava di essersi aggiudicato quella della Tonnara del Tono di competenza del marchese D’Amico, ai prezzi calmierati (“mete”) stabiliti dai giurati e versando un corrispettivo allo stesso marchese D’Amico. Lo stesso Raffa si sarebbe riservato una piccola somma (“grana 4 a rotolo”) quale corrispettivo per la vendita al pubblico. Tre piccioli di questi grana 4 sarebbero spettati al taverniere della stessa Tonnara del Tono.

Die nono m. maij 9a Ind. 1791

Relatio Marij Raffa quondam Ioseph, Vincentij Sisinni quondam Philippi et Matthei Leto quondam Ioseph huius Fid. Leal. Mylarum Urbis pres. cogn. capta et recepta cum debito iuramento de ordine et mandato spett. Iurat. huius semper Fid. Urbis ad instantiam spett. sindaci et procuratoris generalis huius publici tali est ut infra sequit.

Dice il detto di Raffa, relatore, che per convenzione fatta per alberano privato coll’illustre Marchese D’Amico gli sborzò sudetto di Raffa onze 50 di denaro contante. Ed il detto Marchese D’Amico obligò al medesimo, sopra il pescato di medietà di Tonnara del Tono a lui appartenente, dargli quintali due al giorno di tonnina e di ogn’altro genere di pesci scamali quintali due al giorno, a misura del piscato di detta tonnara. Ed il prezzo di detti generi di pesci pagarli il detto di Raffa secondo la meta che daranno i spettabili giurati, dedotti grana 4 di vendita a minuto appartenente al detto di Raffa per ogni rotolo. Sopra questi grana 4 a rotolo deve detto di Raffa pagare piccioli 3 a rotolo al taverniere di essa tonnara ed il Raffa obligare mandare a prendersi i pesci della tonnara e portarseli alla Piazza. Sopra gli altri pesci, come siano palamati e scombri, pagarli secondo la meta come sopra e ricavarne per sua rendita grana 3 a rotolo e sopra questi grana 3 pagar detto di Raffa li piccioli 3 a rotolo al taverniere di detta tonnara.

Per li palamidi poi doverli pagare ad onze 1.10 centinajo e pagare piccioli 3 a rotolo al detto taverniere. Il pescespada, fuori calli e corrie che restano per conto del Marchese D’Amico, pagarlo ad onze 2.10 quintale e pagare li piccioli tre a rotolo al taverniere.

Dice di più esso relatore di Raffa havere fatta col detto Marchese D’Amico la stessa convenzione di sopra per il pescato della Tonnara del Pepe ed haver fatto al medesimo l’anticipazione di onze 25.

Dice di più detto relatore di Raffa che per l’altra mezza Tonnara del Tono, appartenente a Don Giovanni Gaipa [Calapaj, ndr] di Messina, si trova stipulato contratto con Don Benedetto Camarda per atti di Notar Don Andrea La Macchia, sotto li 19 marzo 1791. Per cui si obliga per la vendita della tonnina e pesci a tenore della convenzione fatta al Marchese D’Amico e, non havendo fatta al detto di Calapaj anticipazione di denaro, gli deve detto di Raffa rilasciare tarì 2 a quintale sopra il dritto di vendita, come per detto contratto si ravvisa. Con pagare anche li piccioli tre a rotolo al taverniere di essa tonnara.

Vincenzo Sisinni, relatore, anche dice di haver anticipato al cavaliere Don Carlo D’Amico [per la Tonnara di Milazzo, ndr] onze 100 di denari. E fatta per alberano la convenzione per la vendita della tonnina alla Piazza, palamati e pesci minuti, secondo la meta, e dover conseguire grana 4 a rotolo con pagare [segue termine di ardua trascrizione, ndr] piccioli 3 a rotolo al taverniere di detta tonnara. Li palamidi pagarli ad onze 2 per ogni centinajo e li pesce spada, fuori calli e corrie che restano per conto di detto cavaliere, secondo la meta. E conseguire grana 4 a rotolo di vendita e sopra di tal vendita pagare al taverniere li piccioli 3 a rotolo e detto relatore di Sisinni mandare a prendersi ogni sorte di pesce alla tonnara.

Matteo Leto, relatore come sopra, dice che in unione di suoi compagni fece l’antecipazione di onze 100 alli proprietarij della Tonnara di Vaccarella. E per la vendita di tonnine ed altri pesci regolarsi secondo la Tonnara di Milazzo, cioè venderli secondo la meta delli spettabili Giurati, con dover conseguire grana 4 a rotolo sopra la tonnina e grana 3 a rotolo sopra gl’altri pesci. Con pagare piccioli 3 a rotolo al taverniere. E li pescespada pagarli ad onze 2.5 quintale, come si vede per alberano tra detto di Leto e proprietarij di detta Tonnara di Vaccarella, sottoscritto con procura per la publicazione di detto alberano stipulato agl’atti di notar Don Giovanni Aricò.



§IX

Il marchese Tommaso Mariano D’Amico - rappresentato dal messinese Benedetto Camarda - vincola il suo 50% di pescato 1795 della Tonnara del Tono al commerciante messinese Giovanni Rosso. Dalla vendita è dunque esclusa la metà di pescato spettante al socio del marchese, ossia Domenico Calapaj, che cinque anni prima aveva rilevato la quota di Girolamo Bonaccorsi. La vendita viene eseguita per il prezzo di 900 onze, 800 delle quali versate anticipatamente al momento della stipula del contratto (11 febbraio 1795). I prezzi dei singoli generi pescati (tonni, palamidi, sgombri etc) vengono elencati tra le diverse clausole contrattuali. Da parte sua il marchese avrebbe dovuto fornire il necessario per la salagione (fabbricato e personale e tine di sua competenza), non potendo pretendere canoni di locazione o rimborso alcuno, eccezion fatta per i barili ed il sale. Il pesce pescato in eccedenza al valore di 900 onze sarebbe rimasto al marchese D’Amico. Dalla vendita risultano esclusi uno dei 2 quintali di pesce destinati per consuetudine alla Pescheria di Milazzo (la Piazza) - l’altro quintale gravava sul socio Calapaj - e 25 dei 50 palamidi giornalieri destinati alla taverna della stessa Tonnara del Tono. Nel caso in cui la pesca non fosse stata abbondante, il marchese si sarebbe impegnato a rimborsare il valore dell’invenduto entro il mese di dicembre 1795. Poiché il marchese non sottoscrive in data 11 febbraio 1795 l’atto di vendita presso il notaio Bruno di Messina, l’atto contrattuale viene da lui ratificato in notar Girolamo Maria Le Donne di Milazzo pochi giorni dopo.

Iesus etc

Die undecimo Februarii XIII Ind. 1795

Avanti noi Notaro e testimonii infrascritti, presente conosciuto Don Benedetto Camarda messinese, da me notaro conosciuto, intervenendo nel presente qual commissionato dell’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico di Melazzo, per lo quale (…) in virtù del presente confessa aver avuto e ricevuto dal signor Don Giovanni Rosso, publico negoziante messinese, presente conosciuto, onze ottocento di denari contanti di giusto peso (…). Quali onze 800 dal detto di Camarda, nel detto nome, si ricevono e dal detto signor Rosso si pagano in conto di onze novecento. Da pagarsi l’altre onze cento, cioè onze cinquanta in maggio in questo 1795 e l’altre onze cinquanta in giugno sequente. Ed in anticipazione della metà del pescato farà la Tonnara del Tono, propria in metà di detto Illustre Marchese D’Amico, nella prossima stagione 1795. Che intieramente tutto detto pescato, o sia la detta tangente spettante a detto Illustre D’Amico, dal detto di Camarda, commissionato sudetto, in forza del presente resta venduto al detto signor Rosso al convenuto e stabilito prezzo, in quanto alli tonni alla raggione d’onza una e tarì venti per quintale, li palamidi ad onze una e tarì venticinque il cento, li palamici ad onza una e tarì venti per quintale, le alalunghe ad onze una e tarì sei quintale e li scrumbi ad onza una e tarì quindici per quintale. Da pagarsi e consegnarsi tutti detti pesci nel luogo della Tonnara colla statera d’essa secondo l’uso e costume, riservandosi detto di Camarda nel detto nome tutti l’altri pesci oltre li di sopra descritti che forse con detta tonnara saranno pescati in detta prossima staggione 1795, che restano per proprio conto del detto Illustre Marchese D’Amico. Come altresì detto di Camarda, nel detto nome, si riserva della presente vendita quintale uno, metà delli quintali due, che secondo il costume è obligata detta tonnara di dare per la provista giornale della Piazza di detta Città di Melazzo, d’ogni sorte di pesci del pescato che farà giornalmente detta tonnara. E la metà delli numero cinquanta palamidi al giorno per provista della taverna di detta tonnara, che restano esclusi dalla presente vendita. Ed espressamente riservati per conto del detto signor Marchese D’Amico. Beninteso che, venendo compito a detto signor Rosso il pagamento di dette onze novecento colla consegna del detto pescato e pria di esser terminata la stagione, in quel caso il dippiù del pescato d’essa tonnara, o sia la metà d’esso, anderà per conto proprio del riferito signor Marchese D’Amico, qual proprietario in metà di detta tonnara. All’incontro, però, restando creditore detto signor Rosso, terminato il pescato di detta tonnara, in tutto o in parte di dette onze novecento detto di Camarda, nel nome, (…) si obligò ed obliga per contratto dare e pagare al detto signor Rosso tutte o il residuale di dette onze novecento nel mese decembre del corrente anno 1795, coll’esecuzione. Resta inoltre convenuto che volendo detto signor Rosso salare il sudetto pescato, detto Illustre Marchese D’Amico dovrà dare il commodo in tonnara e nella logia della medietà per eseguire l’operazione sudetta, come pure le tine necessarie e quelli uomini di servigio di detta tonnara, che non si troveranno impiegati, senza poter pretendere cosa alcuna detto Illustre Signor Marchese D’Amico. Il quale, altresì, dovrà somministrare il sale e barrili che saranno necessarj, che detto signor Rosso sarà obligato pagarli a prezzi correnti, così di patto. Che mancando il venditore, sarà lecito al compratore a tutti danni unde, delli quali unde, quale giuramento unde, e da quello unde, per patto unde. Ed all’incontro mancando il compratore sarà lecito al venditore a tutti danni unde, delli quali unde, quale giuramento unde, e da quello unde, per patto unde. E stante il superiore contratto detto di Camarda promise e promette di voto giusta la forma del rito della Regia Corte sotto l’ipoteca unde. (…) Fra il termine di giorni quindeci da contarsi d’oggi innanti abbia, voglia e debba detto Illustre Marchese D’Amico da rattificare, laudare, approvare e pienamente confermare il presente contratto di vendita. E confessione di onze ottocento e quanto in esso si contiene a nome proprio obligarsi a favore del sudetto signor Rosso per tutto quello e quanto detto di Camarda, qual commissionato sudetto, resta tenuto ed obligato (…). E ciò per atto publico per mani di qualsivoglia publico notaro coll’inserzione del presente (…). Copia della quale rattifica nel termine sudetto presentare al detto signor Rosso (…)

Presentibus Don Antonino Piccolo et Ioanne Turrisi, testibus.

Ex actis meis Not. Don Antonini Maria Bruno messanensis (…)

[L’atto contrattuale di cui sopra fu ratificato in Notar Girolamo Maria Le Donne di Milazzo in data 17 febbraio 1795, ndr]



§X

Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola il proprio 50% di pescato 1798 della Tonnara del Tono al commerciante messinese Giovanni Rosso.

Gesù Maria Giuseppe

Sendo stato nella bisogna io infrascritto Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico,  dopo la pesca dell’anno 1797 per supplire a taluni pesi di considerazione a me rimasti dietro l’esito della medesima, della somma di onze novecento per sodisfarla a diversi miei creditori e non trovando altro capimento per rinvenire a Natale somma, feci pregare per mezzo di amici al signor Don Giovanni Rosso per farmi il cennato sborzo con riceversi la nuova obligazione della mezza Tonnara del Tono di mia proprietà, pella prossima ventura pesca dell’anno 1798. Ed avendo io sudetto ed infrascritto di Rosso, per fare cosa grata al sudetto Marchese, aderito a farle detta anticipazione, si stabiliì perciò detta nuova obligazione della mezza Tonnara del Tono pella pesca dell’anno 1798 nella seguente forma per via d’alberano, non avendo convenuto per alcuni nostri privati fini formarne publica scrittura.

Chepperò in vigore del presente privato scritto, valituro però, come fosse publica scrittura, garentita dalla via esecutiva, patti che diconsi de non opponendo et ad discursum ed altri, a stile di publico notaro e con ogni miglior nome, titolo e modo, io infrascritto Marchese Amico, attesa la ricevuta anticipazione delle onze novecento, come confesso oggi stesso avere avuto e ricevuto in denari contanti, mi obligo sopra la mia medietà della Tonnara del Tono dare e consegnare del pescato di essa, o sia della medietà a me spettante, li tonni al convenuto prezzo di onze una e tarì venti quintale, li palamidi ad onza una e tarì venticinque per cento, li palamati ad onza una e tarì venti quintale, le alelunghe ad onza una e tarì sei quintale e li scrumbi ad onza una e tarì quindici quintale. Da pesarsi e consegnarsi come al solito costume nella loggia di detta tonnara colla statera di essa. Restando per mio conto tutte le altre sorti di pesci che Dio Signor nostro manderà in detta tonnara nella prossima ventura staggione 1798. Come del pari resta riservato, sopra detta medietà di pesci di sopra obligati, il quintale uno al giorno pella Piazza, mettà delli quintali due al giorno che si danno alla detta Piazza della Città di Milazzo, e la metà delli cinquanta palamidi della taverna di detta tonnara, quali restano preventivamente esclusi dalla presente vendita ed obligazione.

Beninteso che la generale obbligazione dei generi di sopra enunciati deve avere la sua durata sintantocché colla consegna, agl’indicati prezzi di sopra, resterà compita l’anticipazione delle onze 900. E se ciò, come si spera dalla Divina provvidenza, sarà a verificarsi pria di terminare il corso di detta tonnara, allora li generi obligati sopra detta medietà devono restare per conto proprio di me infrascritto D’Amico. Ed all’incontro, restando io sudetto ed infrascritto di Rosso creditore, fatto il conto dopo la pesca della tonnara in tutto o in parte della somma delle onze 900, come sopra sborzate, in questo caso mi obligo io infrascritto Marchese Amico sodisfare quel tanto che resterò in debito, dopo la rifinizione al conto, al mese di dicembre dell’anno 1798, coll’esecuzione unde per patto unde.

Rimane anche fra noi infrascritti accordato che, volendo esso signor Rosso salare in tutto o in parte la tangente del pescato che le sarà consegnato in detta pesca, debbo io sudetto Marchese Amico darle il commodo in tonnara per eseguire l’operazione sudetta. Come pure le tine necessarie e quegli uomini della chiurma della sudetta tonnara che non si troveranno impiegati in servizio più preciso della medesima. Senza poter pretendere per tali commodi alcuna paga, ma soltanto il pagamento del sale e barrile necessario, che sarò io infrascritto coll’obligo pagare alli prezzi correnti.

Pella cautela maggiore delle sudette onze novecento, come sopra sborzate dal cennato signor Rosso in tale negozio, e per ogni sicurezza del suo denaro quando non fosse compito colla di sopra indossata obbligazione, giusta le convenute vicende, sendosi pensato far intervenire in questa scrittura il signor Don Felice Antonio D’Amico, figlio primogenito emancipato del detto Marchese. Perciò io infrascritto Don  Francesco Bitto, qual procuratore eletto dal detto Illustre Marchesino Don Felice Antonio per atto di procura stipulato in Milazzo a 30 settembre del presente anno 1797 per atti di Notar Don Andrea La Macchia, intervenendo col nome sudetto nel presente alberano di vendizione ed obligazione, mi obligo in solido col detto signor Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, padre, a favore del cennato signor Rosso. Intendendo e volendo esso mio costituente obligarsi qual debitore equalmente principale, renunciando ad ogni legale ajuto, poiché altrimente non si sarebbe dal detto signor Rosso divenuto al cennato sborzo. E ciò con tutte le debite cautele, renuncie ed ogn’altro nella più debita e legale forma a stile di publico notaro. Per qual mottivo viene da me infrascritto di Bitto detto nome, firmato il presente alberano ed anche la procura validante il medesimo.

Si sono dunque del presente alberano firmati due consimili originali di proprio carattere di noi infrascritti Rosso, Marchese Amico e Don Francesco Bitto, procuradore, ed inoltre di tre testimonj dopo le nostre firme, uno de’ quali è rimasto in mani di me infrascritto di Rosso ed altro presso di noi Marchese Amico e Bitto per la nostra reciproca cautela in ogni tempo avvenire. Ed oggi stesso si è stipulata sollenne procura ed publicandum il presente alberano per atti di notar Don Antonino Maria Bruno di questa Città di Messina, ad oggetto di poter lo stesso publicare e ridurre in forma publica in ogni e qualsivoglia caso di contravvenzione e non altrimenti.

Oggi in Messina li dodici ottobre 1797.

Tommaso Mariano Marchese Amico confermo come sopra

Francesco Bitto Procuradore nome cofermo come sopra

Giovanni Rosso confermo come sopra

Giuseppe Saccà fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano

Antonino Picciolo fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano

Sebastiano Fiore fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano



§XI

Il marchese Tommaso Mariano D’Amico il vincola 25% del pescato 1800 della Tonnara del Tono ad una società costituita da Felice Roma, Pasquale Tricamo e Giuseppe Mannello, quest’ultimo padrone marittimo. In sostanza il marchese vincola metà del suo 50% di pescato, essendo l’altro 50% destinato al socio Calapaj. Soddisfatta la suddetta obbligazione, il marchese rimaneva contrattualmente impegnato a consegnare agli acquirenti di cui sopra un’altra porzione di pescato, ossia un’ottava parte (12,5%) di soli tonni e palamidi, tuttavia a prezzi maggiorati rispetto a quelli concordati per la vendita del 25%.

Die vigesimo octavo Decembris Tertiae Ind. Millesimo Septing.mo Nonag.mo Nono

L’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, nobile messinese morante in questa Sempre Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da me notaro conosciuto, alla presenza mia e dell’infrascritti testimoni, in vigor del presente stipulante ha venduto ed obligato, e vende ed obliga, a Felice Roma, Pasquale Tricamo e Padron Giuseppe Mannello di questa predetta Città, presenti, ancora da me notaro conosciuti, presenti, stipulanti, che comprano tutta ed intiera la mettà della mettà spettante a detto Illustre Marchese D’Amico sopra l’intiero pescato della Tonnara del Tono nella pesca prossima ventura dell’anno entrante 1800. Cioè, quarta parte di tutti li tonni, palamadi, bisi o siano palamiti, alilunghe e strumbi, quali intieramente pescherà la tonnara predetta.

Benvero però che sia e s’intenda prima dedotto, sopra tutto l’intero pescato, il tangente della Piazza di questa predetta Città, cioè cantara due al giorno per ogni genere di pesci e sopra li bisi il tangente inoltre della taverna di detta tonnara, cioè numero cinquanta bisi al giorno sopra sudetto intiero pescato dei bisi. Quali restar devono per conto del detto Illustre Marchese D’Amico in unione di tutti gl’altri restanti generi di pescato che piglierà la sudetta tonnara, riguardanti la detta mettà del detto Illustre Marchese D’Amico. Colla legge però che sudetto Illustre Marchese D’Amico debba a detti compradori di Roma e consorti consignare detti cinque generi di pescato di sopra obligati di levata in levata, nella loggia di detta tonnara, giusta l’uso di questa città a peso di stadera. Apparte delli bisi, quali debbansi contare a numero di cento. E che tanto se li tonni siano di cantaro 1 infra, quanto se siano di sopra il cantaro, debbansi pesare con tutte le teste, conforme detto Illustre Marchese D’Amico in vigor del presente stipulante s’obligò ed obliga consegnarli nel modo detto sopra esposto. E non mancare unde, altrimenti unde, delli quali danni unde, quale giuramento unde, sotto l’ipotega unde.

E questi per il prezzo rispettivo, cioè le tonnine ad onze due il cantaro, li palamadi ad onza una e tarì venti il cantaro, le alilunghe ad onza una e tarì dieci il cantaro, li strumbi ad onza una e tarì dieciotto il cantaro e li bisi, o siano palamiti, ad onze due e tarì cinque per ogni centinaio, di conto, così di patto ed accordio fra di loro.

In causa del quale prezzo sudetto Illustre Marchese D’Amico, in vigor del presente stipulante, disse e conferma avere avuto e ricevuto dalli detti di Roma, Tricamo e Mannello, stipulanti, onze quattrocento di denari in moneta d’oro ed argento, come costa. Per le quali onze 400 procede la presente obbligazione di detta quarta parte di detti cinque generi di pescato, sopra l’intiero pescato di detta Tonnara del Tono, per li prezzi di sopra stabiliti. Quali onze 400 estinte, resta estinta la superiore obbligazione. Ben inteso però che per lo restante tempo del corso di detta tonnara dell’anno prossimo venturo 1800 resta detto Illustre Marchese D’Amico tenuto, conforme s’obligò ed obliga, dare e consignare alli detti di Roma e Compagni predetti l’ottava di detta mettà della mettà di detto Illustre Marchese D’Amico delle sole tonnine e bisi sino a tagliata di tonnara, colle stesse leggi della superiore obligazione, da ratizzarsi però il prezzo, cioè le tonnine ad onze due e tarì dieci cantaro e li bisi ad onze due e tarì quindeci il centinaio di conto di pace unde.

Il prezzo però di detta ottava di detta mettà di tonnine e bisi, quali si consegneranno dopo il saldo di dette onze 400 come sopra, li sudetti di Roma, Tricamo e Mannello in vigor del presente in solidum obligandosi rendono. E specialmente promisero e promettono, e solennemente si sono obligati ed obligano, al detto Illustre Marchese D’Amico, stipulante, darlo e con effetto pagarlo in questa predetta città in denari contanti e fuori deposito, subito tagliata la tonnara predetta in detto anno prossimo venturo 1800 in pace unde.

Sotto l’infrascritti patti unde. E primo che se (Dio non voglia) colla quarta di dette cinque generi di pescato di sopra obligata non potrà per mancanza di pesca saldarsi la somma intera delle sudette onze quattrocento, che da detto di Roma e compagni vengono sborzate, quanto che o in tutto o in parte resteranno attrassate le dette onze 400 per mancanza di buona pesca, in questo caso detto Illustre Marhcese di Amico sia tenuto ed obligato, conforme in vigor del presente s’obligò ed obliga, alli detti di Roma e compagni, stipulanti, dare e pagare il saldo di detto onze 400 nel mese dicembre di detto anno 1800 in pace unde.

Dippiù, che detto Illustre Marchese D’Amico sia tenuto, conforme in vigor del presente s’obligò et obliga, alli detti di Roma e Compagni [offrire] quel commodo [locale, ndr] potrà darsi per salare in detta tonnara, le tine, sale e barili per farsi il salato di detti generi. Il prezzo delli quali, li sudetti di Roma, Tricamo e Mannello siano obligati, conforme s’obligano, pagarlo al detto Illustre Marchese D’Amico, stipulante, cioè il sale ad onza una e tarì sei salma macinato ed onze una per il grosso e li barili a tarì tre per ogn’uno. Dovendosi da detto Illustre Marchese dare alli detti di Roma e compagni il commodo e le tine gratis. Dippiù che nella loggia di detta tonnara debbansi fare le vendite in fresco delli sopradetti generi di pescato in società sino a quella quantità che si potrà vendere. Dovendosi in ogni sera fare il conto e dividersi il denaro. E per quella parte di generi che non si potrà vendere, debbano detti di Roma e compagni ricevere la loro parte per salarsela sopra il contesto della presente obligazione. E perciò sia lecito a detti di Roma e compagni mettere nella loggia di detta tonnara uno scrivano per notare e guardare li suoi [loro, ndr] interessi, senzaché sudetto Illustre Marchese D’Amico possa opponersi unde. E per maggior cautela delli sudetti compagni di Roma e compagni per la esatta consegna delli generi di sopra obligati tantum et dumtaxat nelli modo, fa, loco e tempo di sopra descritti. Per detto Illustre Marchese D’Amico ed a sue preghiere, il reverendo sacerdote Don Gioachino Rizzo di questa predetta città, presente, da me notaro conosciuto, in vigor del presente stipulante, ha intercesso e pleggiato, e pleggia e pleggio in solidum, col detto Illustre Marchese D’Amico, obligato. Si è costituito rendendo la lege de primo et principali conveniendo instrutto da me della forza di detto beneficio.

(…)

Testes Don Rochus Chillemi et Don Franciscus Macchia.

Ex actis mei Notari Don Andrea Macchia reg. pub.ci hujus Urbis Mylarum



§XII

Tonnara del Porto, stagione di pesca 1801. A gabellare (affittare) la tonnara furono, in società, il marchese Tommaso Mariano D’Amico, Giovanni Calapaj e Gioacchino Calabrò. Poiché la Tonnara del Porto o Tonnara di Milazzo era un impianto di pesca sia di corsa che di ritorno, precedenti accordi contrattuali prevedevano che per il “corso” il pescato venisse diviso tra il Calapaj ed il D’Amico in ragione del 50% ciascuno, mentre per il “ritorno” di qualche mese più tardi lo stesso pescato sarebbe stato diviso in ragione di un terzo anche col Calabrò.

Nel contratto riportato di seguito il marchese D’Amico affidava metà del suo 50% di pescato al socio del ritorno Gioacchino Calabrò. Ove il pescato non avesse compensato il corrispettivo versato anticipatamente al marchese D’Amico dal Calabrò, quest’ultimo avrebbe potuto compensare la somma precedentemente sborsata col pescato del ritorno, per il quale però il D’Amico era socio per un terzo e non per metà.

Gesù Maria Giuseppe

Reggendo in medietà l’interesse della gabbella della Tonnara del Porto di Melazzo per il corso della pesca prossima ventura 1801, per me infrascritto Marchese Amico, dietro l’ultima convenzione fatta col signor Don Giovanni Calapaj, ò convenuto col socio signor Don Gioacchino Calabrò la infrascritta convenzione.

Della mia medietà del pescato che mi spetta per la pesca dell’anno 1801, dedotta la Piazza e taverna giusta al solito, per quel che a me s’appartiene somministrare alla Piazza di questa città, per tutto il resto del pescato, esclusi li pescespada che restano a mio particolare conto, di tutto il rimanente per quello che si vende in fresco nella loggia di detta tonnara devo consegnarne la medietà e farla passare a conto dal sudetto di Calabrò, restando l’altra metà per mio singolare conto. Raggionando il prezzo delli pesci da consegnare nella seguente forma che sotto si descrive:

- li tonni ad onze 2 cantaro, tanto di cantaro a basso che sopra, colla testa;

- li  palamidi ad onze 2 e tarì 5 per cento di conto, giusta la prattica delle tonnare;

- li  palamati ad onza 1 e tarì 20 cantaro;

- li  strumbi ad onza 1 e tarì 18 cantaro;

- le  colorite ad onza 1 e tarì 10 cantaro;

- le  alalonghe ad onza 1 e tarì 10 cantaro.

In ogni sera, se così si volesse pratticare, si farà il conto del venduto, giusta il libro della tonnara, e del venduto in fresco consegnirà detto di Calabrò il suo tangente di detta medietà, o sia il quarto dell’intiera tonnara, a seconda delli prezzi correnti che si venderà nella loggia di detta tonnara.

Per quello riguarda al salato, la metà di mia spettanza o vorrà salarsi in commune con detto mio socio signor Calabrò, con pesarsi prima tanto la tonnina che tutti gli altri pesci e contarsi li palamidi per sapersene l’effettivo peso e potersi regolare la consegna alli prezzi dell’obligazione di sopra stabiliti, e così sarà a praticarsi. O pure, convenendomi consegnarle la sua metà per salarsela, glene pratticherò la consegna al peso di statera di sudetta tonnara. Quando le operazioni tutte si facessero socialmente per il salato, allora il sale e barrile necessario e le spese anderanno a conto della società. In caso diverso ognuno pagherà quel tanto di cui s’è avvalutato delle proviste della medesima tonnara.

Confesso [aver ricevuto] io infrascritto Marchese dal signor Calabrò in più volte e partite la somma di onze duecento diecisette e tarì diecinove, quali mi obligo scomputarle col prezzo delli pesci consegnandi della metà della mia medietà nella pesca del corso 1801, alli prezzi di sopra enunciati e condizioni di sopra stabilite. Se mai, però, detto sborso di onze duecento diecisette e tarì diecinove non le serà compito nella pesca del corso della tonnara e saldato detto conto, allora, armandosi la tonnara a ritorno, continuerà l’obligazione per li palamidi del ritorno, dovendosi però apprezzare ad onze 2.10 per 100, tarì cinque più del prezzo del corso. E ciò sino al saldo dello sborzo ricevuto. E se mai, Dio non voglia, tale saldo non sarà a seguire né per tutto il corso, né nel ritorno, alla tagliata di tonnara si farà il liquido, essendovi residuale debbito dovrà farsene il saldo. Dichiarandosi bensì che l’obligazione delli palamidi del ritorno regge nella metà della terza, sendo in tale quantità l’interesse di me infrascritto marchese al ritorno di detta tonnara nella pesca sudetta.

Per la reciproca cautela e per segno della stabilita convenzione, abbiamo noi infrascritti Marchese Amico e Gioachino Calabrò formato il presente alberano in due consimili, anche firmato da tre testimonj in piede dello stesso, per restarne uno in potere di me Marchese Amico, altro in potere di me infrascritto di Calabrò, all’oggetto di poterlo uno indipendentemente dall’altro publicare in ogni caso di contravenzione. A qual effetto ci siamo oggi stesso costituiti reciprocamente procuradori ad publicandum il presente alberano per atti di Notar Don Andrea La Macchia e non altrimenti, né in altro modo.

Oggi in Melazzo lì 13 febraro 1801.

Tommaso Mariano Marchese D’Amico confermo come sopra

Gioachino Calabrò confermo come sopra

Filippo Formica fui presente testimonio alle sopradette sottoscrizioni

Don Leonardo La Manna [?] fui presente alle sopradette sottoscrizioni

Don Francesco Munafò fui presente alle sopradette sottoscrizioni



§XIII

Luglio 1785. Il marchese D’Amico commissiona ai maestri d’ascia Paolo Piraino e Gregorio Rizzo un “palascarmotto”, lungo 44 palmi (ossia 11 metri), al prezzo di 16 onze e 15 tarì da pagarsi in varie soluzioni. Avrebbe dovuto mettere a disposizione dei maestri d’ascia il legname, in parte proveniente dalla Calabria, porzione del quale sarebbe stata ritirata nei boschi proprio dagli stessi maestri d’ascia, che avrebbero dovuto consegnare l’imbarcazione entro dicembre 1785.

Grazie alle ricerche archivistiche di Giovanni Lo Presti è emerso che mastro Paolo Piraino (1744-1804) era l’ultimo discendente di una stirpe di artigiani (verisimilmente tutti maestri d’ascia), attivi da quattro generazioni. Mastro Stefano, il padre di Paolo, morì nel 1777 a 65 anni circa ed era a sua volta figlio di mastro Francesco (1679-1754) e nipote di mastro Domenico Piraino (1653-1721).

Da parte sua mastro Gregorio Rizzo (1755-1821) - figlio di Giovan Battista Rizzo e Sebastiana Vitali (quest’ultima nata dal matrimonio tra il maestro d’ascia Gaetano Vitali e Giuseppa Catanzaro) - era fratello di mastro Gaetano, che nel biennio 1789/90 risultava assieme a Gregorio al servizio della Tonnara del Tono (cfr. contabilità di Nunzio Magnisi, taverniere della Tonnara del Tono). Un altro fratello, mastro Pietro Rizzo, sposò nel dicembre 1795 la vedova di Nunzio Magnisi, che a scanso di omonimie dovrebbe essere il suddetto taverniere della tonnara. Verisimilmente anche Pietro era maestro d’ascia come i fratelli Gregorio e Gaetano.

Die vigesimo quinto Iulij 3a Ind. 1785

Innanti a noi mastro Paolo Piraino del quondam mastro Stefano e mastro Gregorio Rizzo, maritato di Giovan Battista, di questa Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da me notaro conosciuti, in vigore del presente stipulante (…) promesero e promettono e s’obligarono ed obligano all’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano de Amico, nobile messinese, da me notaro anche conosciuto, presente stipulante, fare un palascarmotto di palmi quarantaquattro lunghezza e di larghezza secondo richiede l’arte ed a piacere di detto Illustre Marchese Amico. Dovendo essere bene e magistrevole, secondo richiede l’arte sudetta. Con dare detto Illustre Marchese Amico tutto quella legname di corpo che tiene tanto in questa città, e di sotto la pescaria, quanto nella Tonnara di Milazzo. Ed assieme un quarantino e trentino di legname di Calabria. La chiovame necessaria per detto palascarmotto, pece e stoppa e tutto il di più, tanto per il corpo quanto per chiudenda, per il totale finimento di sudetto palascarmotto, che le potesse bisognare, devono farsi a proprie spese di detti maestri di Piraino e Rizzo in solidum, senza punto mancare. Alias sia lecito a detto Illustre Marchese D’Amico, a spese de’ sudetti maestri, farsi detto palascarmotto e stare poi al giuramento di detto Illustre Marchese per interessi sofferti qualora non si adempiranno le condizioni di sopra. Quale palascarmotto detti maestri di Piraino e Rizzo in solidum, come sopra, promese e promettono e s’obligarono ed obligano a detto Illlustre Marchese Amico, di sopra stipulante, consegnarlo lesto di tutto punto, atto a navicare, per tutto il mese dicembre prossimo venturo 1785 in pace unde. Per quali danni unde. Qual giuramento unde.

Pello prezzo di onze sedeci e tarì quindeci di denari contanti, fuor dell’attratto che viene obligato dare detto Illlustre di Amico a detti maestri a tenore di come di sopra viene descritto. Così fra essi convenuti d’accordo (…).

Quali onze 16.15 detto Illlustre Marchese Amico, presente come sopra, promese e promette e s’obligò ed obliga dare e pagare alli sudetti maestri di Pirajno e Rizzo, di sopra stipulanti, o a persona per essi legitima in questa sudetta città fuor deposito del modo, cioè: onze sei subito che detti maestri andiranno a prendere la legname nel bosco, onze cinque travagliando pagando ed onze cinque e tarì quindeci, complimento fatta la consegna di detto palascarmotto in pace unde

Testes: Not. Don Ioannes Aricò et Don Augustinus Filoramo

Ex actis mei Don Rosarij Anastasi Reg. Pub. Not. huius Fid. Urbis Mylarum



§XIV
Memoriale del marchese Don Tommaso Mariano D’Amico della Città di Milazzo

Sacra Real Maestà
Sire,
Tommaso Mariano D’Amico, patrizio messinese abitante nella città di Milazzo, umiliato al Real Trono della Maestà Vostra, umilmente vi espone qualmente. Avendo egli ereditato dal padre marchese Don Antonino non solo i suoi averi, ma benanche quell’anzia ed impegno di corrispondere ai doveri di attento e fedele vassallo della Maestà Vostra con prestare quei servizi che sono corrispondenti, come pratticò indefessamente il padre dell’oratore in varie emergenze, e precisamente nella guerra dell’anno 1718 e 1734 e nel contaggio di Messina [peste del 1743, ndr]. Servizi di tal rilevanza contestati presso il Protonotaro del Regno nell’anno 1757 e da questi rapportati a Sua Eccellenza signor viceré di quel tempo, quale, avendo tutto rimesso al Real Trono dell’Augusto Vostro Genitore, dalla Giunta Consultiva di Sicilia, da cui ne richiamò il suo parere, fu questo di avviso sulla verità dei fatti esposti di meritare e di essere effettivo creditore della grazia allora implorata di un titolo di marchese dalla Real Municifenza al medesimo allora accordato. Avendosi spiegato l’Augusto Cattolico Padre di Vostra Maestà in un suo reale biglietto che prima gli avrebbe concesso il titolo di marchese, se pria con tanti e sì cospicui meriti l’avesse richiesto. Or, l’oratore, seguendo le vestigia del suo difonto padre e sul di lui modello ed esemplare, non à lasciato nelle occasioni che il Governo à proporzionate di disimpegnare colla possibile esattezza. E di rispondere puntualmente agl’incarichi ricevuti. Così adempì nell’essere stato nell’anno 1777 eletto console nobile del Consolato di Mare e Terra della città di Messina. Ma sopra ogn’altro essendo stato dal vostro Governo di Sicilia prescelto nell’anno 1785 e 1786 in qualità di Commissario Generale in occasione dei seguiti tremoti [terremoti, ndr] per tutto questo valle. Ad effetto di apprestare i necessarij ripari alle dennaggiate città e popolazioni tutte che soffrirono in quell’epoca, egli, l’oratore, con incessanti fatighe e dispendj per il corso di due anni e mezzo, lasciando in attrasso i proprij affari ed andando da per tutto sulla faccia del luogo nei paesi danneggiati, senza esserle stato per la sua persona accordato verun soldo o emolumento di sorta per tal’incarichi, à così bene accertate allora le ricevute incombenze quanto ne riportò dal Governo replicati encomi ed approvazioni. E, dopo di essersi discaricato, ne à ricevuto sino al giorno d’oggi nuov’incarichi per diverse circostanze.

Fa ulteriormente presente l’oratore alla Maestà Vostra che sono ormai anni tredici che in qualità di vice intendente di questo Real Fondo dei Lucri à maneggiato senza vuruna retribuzione con onestà e decoro i vostri reali interessi, come attualmente prosiegue. In questo stato di cose l’oratore, sendosi verificata la circostanza di essere cessato di vivere il sergente maggiore dei cavallari che guardano il littorale di questa città di Milazzo, Don Francesco Giacomo Impallomeni, si da il coraggio di supplicare la Maestà Vostra che per effetto di Sua Real Municifenza volesse aggraziarne a tale impegno un di lui figlio, maggiore d’anni 27, Don Giovanni D’Amico e Carrozza, e ciò in riguardo alli rilevanti servizi del suo padre. Non meno che dall’oratore prestati e che sto attualmente prestando per effetto e dovere di suo fedelissimo vassallo, facendo presente alla Maestà Vostra che il Barone Forzano, ch’ebbe l’uguale incarico del supplente di commissario generale nell’epoca suddetta dell’anno 1786 per poche popolazioni a lui vicine, senza punto appaltarsi dal proprio tutto fu dalla Maestà Vostra remunerato colla concessione di un titolo di marchese in pheudum per sè per li suoi primogeniti. Così dunque si persuade l’oratore e spera dalla Vostra Real Clemenza che, non avendo mai ricevuto verun compenso pelle sue fatighe e prestati servizj, si benignasse ad esso la Maestà Vostra accordarle la richiesta grazia dell’impiego di sergente maggiore per il di lui figlio ad oggetto di potersi l’oratore ed i suoi discendenti segnalare con quel zelo ed indefessa attenzione dovuta di fedeli vassalli nella carriera del vostro reale servizio.



Un documento del 1757 attesta una fornitura di frumento a favore di Don Antonino D'Amico, non ancora marchese, per la «sua Tonnara di Milazzo» (Museo Etnoantropologico e Naturalistico "D. Ryolo", fondo famiglia D'Amico-Faranda). 


Il marchese Antonino D'Amico riunito in società «per causa delle tonnare di Milazzo» con Guglielmo D'Amico ed Antonino Proto (anno 1762, Museo Etnoantropologico e Naturalistico "D. Ryolo", fondo famiglia D'Amico-Faranda). 


APPENDICE II


La documentazione riportata di seguito ad alta risoluzione è custodita, come la precedente, presso l’Archivio Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, “amministrazione delle tonnare, carte settecentesche”.




§I

«Discapito dell'apparato della Tonnara del Capo Bianco in questa passata pesca 1774»


§II
«Robba apposta dall'Illustre Marchese Amico per serviggio della Tonnara di Milazzo per la Società fatta col Signor Barone Proto in questo anno 1775» e «Robba apposta dal Signor Barone Proto per serviggio della Tonnara di Milazzo per la Società fatta coll'Illustre Marchese Amico in questo anno 1775»

§III
«Nota della chiurma delle due Tonnare Milazzo e Capo Bianco per l'anno 1776»



§IV
«Nota di tutto quello va creditore il Signor Marchese Amico  della chiurma di Capo d'Orlando per tutta la pesca 1777»



§V
«Dare Giovanni Magnisi per la taverna della Tonnara di Milazzo della pesca 1779»




§VI
«Dare Giovanni Magnisi al signor Machese Amico per la taverna della Tonnara di Milazzo della pesca 1780»



§ VII
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per la taverna della Tonnara del Tono per la pesca 1789, come pure della robba da lui ricevuta»






§ VIII
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per la taverna della Tonnara del Tono della pesca 1790, come pure della robba di camparia da lui ricevuta»








§ IX
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per il somministrato alla taverna della Tonnara del Tono per la pesca 1791, come pure della robba da lui ricevuta»







§ X
«Equalazione delle tonnine, bisi e scamali, sale e barili tra il signor marchese Amico ed il signor Calapaj (1791)»


§ XI
«Conto generale di tutto il prodotto della Tonnara del Tono per la pesca ed anno 1795»

§ XII
«Conto di dare ed avere tra il signor marchese Amico e la tavernara della Tonnara del Tono per il somministrato dalla medesima fatto e della robba dalla stessa ricevuta in pesca ed anno 1796»



§ XIII

«Dare ed avere il signor marchese Amico col signor Don Giloramo Bonaccorso per la pesca della Tonnara del Tono e Tonnara di Milazzo» (antecendente al 1790, ndr)