Le tonnare dei primi marchesi D’Amico
a cura di Massimo Tricamo e Giovanni Lo Presti
a cura di Massimo Tricamo e Giovanni Lo Presti
Quando l’Assedio
spagnolo di Milazzo ebbe inizio (ottobre 1718) gran parte della popolazione si
trovava nei vigneti della Piana a vendemmiare. L’acuirsi dello scontro bellico
impedì all’improvviso il transito delle persone. Milazzo si spaccò così in due:
il centro urbano (allora cinto e difeso da mura) ed il Capo rimasero saldamente
sotto il controllo delle truppe piemontesi ed austriache, mentre la Piana
cadeva sotto il dominio degli Spagnoli, alla cui obbedienza si erano sottomessi
anche i comuni confinanti.
Allora tra i 4
giurati di Milazzo, ossia tra i 4 amministratori comunali, figurava Don
Antonino D’Amico Lucifero (1691-1774), destinato a diventare il primo marchese
D’Amico. Convenienze politiche spinsero il ventisettenne Don Antonino, che si
era trasferito nella Piana con tutta la famiglia per le vendemmie, a rimanere a
S. Marina, dove - al servizio della corona di Spagna - cumulò le cariche di amministratore comunale
e di giudice civile e penale. Le autorità spagnole premiarono dunque la fedeltà
del giovane D’Amico, il quale, in qualità di giurato - anche grazie alla
segreta collaborazione coi suoi tre ex colleghi giurati, rimasti nella sfera di
influenza austropiemontese - alleviò con forniture di pane la carestia del
centro urbano di Milazzo. Una condotta che fruttò al D’Amico la gratitudine di
molti, ma anche le ostilità di chi vedeva in lui un suddito non troppo fedele
al Re di Spagna.
Agli sgoccioli
delle vicende belliche del 1718/19 Antonino D’Amico dovette trasferirsi a S.
Lucia del Mela, non essendo ovviamente gradito alle autorità austriache. Ma
decenni dopo il suo attivismo a favore della corona di Spagna ai tempi
dell’Assedio e le prove di efficienza manifestate in occasione dell’incarico
pubblico da lui ricoperto durante l’emergenza sanitaria del 1743 (la peste) gli
fruttarono il titolo di marchese, concessogli dal Borbone.
Una monumentale
fontana settecentesca, proveniente dagli appezzamenti di S. Giovanni dei
D’Amico, acquistata dal Comune di Milazzo per 40 milioni di vecchie lire e poi
parzialmente trafugata, raffigurava la severa figura del marchese Antonino che
additava con l’indice il figlioletto marchesino Tommaso Mariano, nato nel 1753
dalle seconde nozze con Rosaria Calì. La fontana (quel che ne resta fu
collocato dal Comune nel piazzale antistante la chiesa del Rosario) è databile
intorno al 1755 e raffigura il marchese Antonino ormai sessantenne, quando
aveva in gestione la Tonnara Grande del Porto di Milazzo, conosciuta anche come
Tonnara di Milazzo. Costruì «un mediocre malfaraggio» e la dotò di tutto il
necessario per il calato (apparato),
decenni dopo trasferito alla Tonnara del Tono dal figlio Tommaso Mariano, che
così abbandonò l’antichissima Tonnara di Milazzo a suo parere improduttiva
(anche se il cugino Francesco Carlo D’Amico, Duca d’Ossada, l’avrebbe gestita
subito dopo per un quadriennio con profitto).
Lo stesso
Tommaso Mariano, coniugatosi nel 1771 con Giovanna, la figlia del marchese
Carrozza di Messina, ricevette in dote per il matrimonio la Tonnara del Pepe o
Capo Bianco, calandola quale tonnarella sia per il corso che per il ritorno e
tenendola in mare sino al mese di settembre. Quella stessa tonnara che qualche
decennio prima, precisamente nel 1746, il barone Don Cesare Mariano D’Amico,
padre del suddetto Duca d’Ossada, aveva tentato di calare - ma senza successo -
come «tonnara grande di corso» nello Scaro dei Liparoti, accanto al Cirucco e
sotto la villa detta del Paradiso (oggi proprietà Bonaccorsi) che lo stesso
barone aveva innalzato nel 1740.
Anche il
marchese Tommaso Mariano D’Amico tentò di calarla come tonnara grande, ancora
una volta sotto villa Paradiso. Fece l’esperimento ben due volte. Ma alla fine
fu costretto a desistere, accontentandosi della già citata tonnarella di corso
e di ritorno calata nella Baia del Pepe, sotto S. Opolo.
Le missive
riportate di seguito si riferiscono proprio alla Tonnara Grande del Porto ed a
quella del Capo Bianco. Risalgono al 1775 e sono custodite presso l’Archivio
Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” (fondo
Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche).
Il giovane marchese Tommaso Mariano D’Amico - che allora risiedeva a Messina,
salvo tornare a Milazzo nel periodo della pesca del tonno (maggio-giugno) - aveva
vincolato il pescato delle due tonnare a favore del messinese Leonardo Galati,
il quale oltre al pesce fresco collocava sul mercato anche il salato prodotto
dal D’Amico (sottile, sorra, bodina, busonaglia, etc.).
«Eccellenza,
all’ori 17 mi è
capitato Fulippo Cambria con pesci n.° 15 in cantara 15.16 tonnina del Capo
Bianco, che fu il motivo che io ebbi a farla vendere tutta a grana 12 rotolo,
essendo venuta ad una ora sproposita. Doppo che fu uccisa all’ori 22, dovea
venire in Messina a giorno, però mi persuasi essere stata mancanza del Padrone,
che vi erano nella barca tre tignosi [spregevoli,
ndr] che venivano senza o core e portavano tutta la tonnina una pesti [senza alcun riguardo, ndr].
Intanto io
vedendo il tempo esser passato di vender tonnina, prevengo con questo serio a
Vostra Eccellenza, se Iddio li mandi tonnina tanto del Capo Bianco quanto della
Tonnara di Milazzo, Vostra Eccellenza la farà salare e preghi Iddio che ne
facci quantità che tutta mi la prendirò io.
Solo per mercodì
ne mandirà cantara 12 e cantara 12 per vennardi, perché Iddio non lo camanda
che io fossi interessato doppo che mi ò preso il petto con una pietra per
Vostra Eccellenza. Farò quello che io li dico e senz’altro l’obbligo con tutti
di questa casa.
Messina, lì 19
giugno [17]75
Umilissimo
servitore
Leonardo Galati»
«Eccellenza,
rispondo alla
gentilissima di Vostra Eccellenza. Sento che desidera da me sapere se quelle
poco tonnini salate che à fatto assieme con la bisognaglia se li ò di bisogno e
fa per me.
In risposta sono
a dirli che io devo guardare li interessi che sono li principali quelli di
Vostra Eccellenza. Tonnine ne devo comprare e prima sono nell’obligo smaldire
tutti quelli che à fatto Vostra Eccellenza. Sicché non vi è la necessità che si
portasse ora la tonnina in Messina, prima di venire Vostra Eccellenza. Bisogna
sapere quanti barili vi è di sottile, sorra, bodina e bisinaglia. Io direi che
questo negozio si risolvesse con la presenza della sua venuta in Messina al suo
maggior vantaggio e di me. E di tutto quello che appartiene a me à tutta
l’otorità Vostra Eccellenza di fare e sfare.
Riguardo alla
Marchesina ne stij siguro che li ò stato e starò a’ fianchi ed è ben persuasa,
non però si allestirà quanto più presto potrà Vostra Eccellenza. Non ò altro
che dirli. Mi resto obbligato al petto, come osserva la Marchesina, cognata e
tutti di casa.
Messina, lì 31
giugno 1775
di Vostra
Eccellenza Signor Marchese D’Amico,
suo umilissimo divotissimo
servitore
Leonardo Galati»
«Eccellenza,
rispondo alla
gentilissima di Vostra Eccellenza in data del 9 corrente. Resto pienamente
informato della presa di n.° 17 tonnicelli ed averne rimesso per Messina n.° 4.
Però non abbiamo inteso se in tonnara vi fosse altra providenza. Per la notizia
che desidera da Calabria e Torre di Faro, posso dirli che alilonghi continuano
a prendere li palamatari, [ma] senza tonni. Li tonnari del Pizzo prendono
giornalmente in poca quantità di tonni.
Li accludo la
nota del Signor Barone Arena e Primo delle onze 3, dovendola sottoscrivere
Vostra Eccellenza. Il terzanello [drappo di seta leggero e di scarsa qualità,
ndr] e vitri sono nella cassettina. La Signora Marchesina restò conzolata della
notizia avuta che la passa mediocre di salute. Altretanto va a gioco sperando
per ristabilirsi dell’intutto. Restamo anziosi di sentire delle bone notizie
delle tonnare. Come anche vol sapere in che stato sono li affari di Sua Signora
Madre e Sorella. il Suo Signor Fratello non à scritto. Sempreché scriverà, la
Signora osservirà quanto Vostra Eccellenza desidera. Solo mi resta dirli che la
Signora Marchesina, Signor Padre, Madre Signora, fratello e cognato e cognata
li abbracciano.
Caro Marchesino,
non scrivo di
proprio pugno perché non ò tempo. Confermo quello che scrive [sopra] Galati. Ti
abbraccio di core assieme colli figlioli e sono
Tua
affezionatissima sposa che di core ti ama
Giovanna»
La società col barone dell’Albero. La crisi di
produttività della Tonnara di Milazzo si evince da un contratto stipulato nel
gennaio 1775 dal marchese Tommaso Mariano D’Amico e da Francesco Maria Proto
Patti, barone dell’Albero. Quest’ultimo rinunciò a calare la Tonnara della
Gabbia o Malpetitto,
collocabile appunto nella contrada Gabbia di Giammoro (Pace del Mela), per
instaurare una società col marchese D’Amico allo scopo di gestire assieme la
Tonnara di Milazzo. Più precisamente il barone dell’Albero si obbligò a
rinunciare «al calato della Tonnara sudetta della Gabbia o altra tonnara del
mare di Levante, principiando dalla Tonnara di Melazzo sino al Malpertito,
sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo». Il barone dell’Albero aveva appena gestito,
con soci milazzesi e con esiti evidentemente non favorevoli, la Tonnara della
Gabbia negli anni 1773 e 1774. Si trattava di una tonnara che veniva calata
saltuariamente. Gli ultimi esperimenti risalivano al biennio 1755/56, a cura
del nonno materno del Duca d’Ossada Antonino Proto Mustazzo (1698-1776) e del
fratello Paolo, i quali la calarono a Monforte Marina e a Scala. Dopo le
suddette due annate del barone dell’Albero, la tonnara sarebbe stata calata per
l’ultima volta dal citato Duca d’Ossada nel 1787 con gravi perdite finanziarie.
L’accordo
contrattuale traeva origine dalla circostanza che il calato della Tonnara di
Milazzo e di quella della Gabbia non fruttava i guadagni sperati. La società
avrebbe comportato la suddivisione di costi e ricavi in ragione del 50%. In
particolare entrambi i contraenti si obbligarono ad acquistare - in ragione
appunto del 50% ciascuno - i quantitativi necessari di «cordicella, libani,
medollari, sale, barrili, suari ed ogn’altro necessario alla pesca di detta
tonnara» di Milazzo, fornendo nel contempo «a medietà (…) l’apparato di detta
tonnara, corpo, culica, barcarizzo, palascarmi, ancore ed ogn’altro. Come pure
approntare (…) medietà delli soliti marinari, fanti ed altra gente di servigio
di detta tonnara».
Il marchese
D’Amico avrebbe messo a disposizione della società il malfarace costruito dal padre Antonino, senza tuttavia richiedere
al Proto alcun canone di locazione, dovendo quest’ultimo - quale corrispettivo
- partecipare alla metà delle spese di manutenzione dello stesso fabbricato.
La Società
avrebbe gestito con certezza le pesche del 1775 e del 1776 ed eventualmente
anche quelle degli anni successivi. Tale incertezza derivava dalla gara
d’appalto che lo Stato avrebbe bandito periodicamente per il «fitto del mare»
della Tonnara di Milazzo, aggiudicato da ultimo proprio dalla famiglia dei
marchesi D’Amico con scadenza 1776. Di seguito la trascrizione del contratto.
«Considerando
noi infrascritti Barone Proto e Marchese Amico, quali padroni, cioè io Barone
Proto della Tonnara della Gabbia ed io Marchese Amico di quella di Melazzo, che
il calato di dette due tonnaje non ridonda a noi d’utile. Perciò abbiamo per il
nostro comun vantaggio di ugual volontà fermamente stabilito di cedere io
Barone Proto, e far cedere in avvenire dai miei Padre e fratello o altra
qualunque persona, al calato della Tonnara sudetta della Gabbia o altra tonnara
del mare di Levante, principiando dalla Tonnara di Melazzo sino al Malpertito,
sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo. E tutti due insieme unirci in perfetta
società a detta Tonnara di Melazzo, sì per le pesche prossime venture 1775 e
1776, quanto durar deve il fitto di mare nella personale sommessa di me
Marchese Amico, come per tutti l’anni d’appresso in ogni tempo futuro secondo
la liberazione [aggiudicazione, ndr]
del mare medesimo si farà a noi o alle nostre sommesse persone. Quindi è che
per il legame indissolubile di tal concordato sociale, stimando giusto formar
scrittura, abbiam divenuto al presente alberano coi patti e convenzioni qui di
sotto.
Così che noi
sudetti ed infrascritti Don Francesco Barone Proto e Marchese Don Tommaso
Mariano D’Amico, intervenienti del presente alberano da valere in ogni tempo
futuro perpetuamente, come se fosse publico documento stipolato per atti di
publico notaro, assistito dalla legale guaranteggia con l’obligazioni reali e
personali, patti che diconsi de non opponendo et ad discursum giuramenti,
renunce, e che tutto ha stile di publico notaro d’assoluto nostro volere e
deliberata uguale volontà d’ogni miglior modo, e nella più debita ed opportuna
forma per legge sostentabile per noi nostri eredi e successori, abbiamo stabilito,
conchiuso e formato, conforme stabiliamo, concludiamo e formiamo, una perfetta
unione e ferma società del calato del mare sudetto della Tonnara di Melazzo,
che dobbiam fare tanto nelle sudette due prossime venture pesche 1775 e 1776,
quanto in tutti l’anni d’appresso, sempre ed in ogni tempo futuro
perpetuamente, secondo le liberazioni del mare di detta tonnara di tempo in
tempo si faranno o a noi o a chichesia delle nostre sommesse persone. Con dover
correre il tutto a commune peso, lucro o perdita, sì riguardo alla gabella del
mare sudetto, come ad ogn’altro annesso e connesso alla raggione sociale in
medietà per ogn’uno di noi contraenti.
Conveniamo di
più e solennemente ci obblighiamo noi Don Francesco Barone Proto e Marchese
Amico a noi stessi, reciprocamente stipolanti, di concorrere a medietà per
ogn’uno a tutte le spese che annualmente bisogneranno farsi per il calato di
detta tonnara, sia per compra di cordicella, libani, medollari, sale, barrili,
suari ed ogn’altro necessario alla pesca di detta tonnara. Come insieme ci
obblighiamo e permettiamo approntare e mettere a medietà per ogn’uno di noi
l’apparato di detta tonnara, corpo, culica, barcarizzo, palascarmi, ancore ed
ogn’altro. Come pure approntare ogn’un di noi medietà delli soliti marinari,
fanti ed altra gente di servigio di detta tonnara, con soddisfarli
respettivamente a mettà per ogn’uno di noi e fare tutto quello e quanto
riguarda al buono ed espedito mistiere di detta tonnara. Con precedere l’estimo
del corpo, o sia apparato ed attrezzi tutti di detta tonnara, per due prattici,
uno per parte di me Barone Proto e l’altro di me Marchese Amico, per regolarsi
ogni cosa ad equalazione fra di noi sempre ed in ogni anno perpetuamente
durante la presente società.
Circa poi
all’amministrazione di detta tonnara conveniamo di patto di reggere ed
annualmente da padroni la tonnara medesima tutti e due noi Don Francesco Proto
e Marchese Amico come se fossimo entrambi una sola persona. Rispetto però alli
scrivani di detta tonnara, resta a noi la libertà di eliggere un scrivano per
ogn’uno di noi, locché anche si senta per la elezione del portaro in tutto il
tempo della società di eligerne uno per ogn’uno di noi infrascritti.
Si procede di
patto che in ogni pesca che farà detta tonnara subito si facesse la divisione
del prodotto in fresco per ogn’uno di noi, affin di disponerne della sua
medietà in sodisfazione dell’oblighi che si trova contratti fin alla presente
giornata. E per quello riguarda a nuove obligazioni o vendite del soprapiù che
darà detta tonnara, farsi a comune piacere e vantaggio.
Si procede
inoltre di patto che in ogni anno, tagliata la tonnara sudetta e nei primi di
luglio d’ogn’anno, si debbano fare giusti e legali calcoli e conti del prodotto
di detta tonnara, sì riguardo al contanti, come al salato ed asciutto. E dopo,
dedotte le parti spettanti alli raisi e marinari come è solito, il di più
divider devesi a medietà per ogn’uno di noi, cioè mettà per me Barone Don
Francesco Proto e mettà per me Marchese Amico, sempre ed in ogni anno
perpetuamente.
Se però dopo
finite le due pesche sudette prossime venture 1775 e 1776 ed in ogni tempo
d’avvenire vi fosse persona che offerir volesse al mare di detta Tonnara di
Melazzo, con vantaggio alle nostre offerte, allora, ed in ogn’uno di detti casi,
conveniamo e dobbiamo noi di Proto ed Amico ammettere le offerte delle terze
persone o le medesime far aummentare dalle nostre persone sommesse su il piede
che stimeremo ragionevole, per così restare sempre a nostro conto la gabella di
detta tonnara e correre a commune lucro o perdita detta società. Al contrario
poi, se riconosciamo d’essere notabilmente eccessive le offerte in quelli anni
si faranno di detto mare dalle terze persone, ed in grado di doverle cedere,
allora, ed in tal caso d’ora per allora, stabiliamo d’accordo per quei anni,
che per detto effetto non cederà in nostra persona la gabella sudetta, ci
obblighiamo di non vendere né gabellare i nostri proprj apparati alla persona o
persone che dovrà o dovranno allora fare il calato di detta Tonnara di Melazzo.
E contravenendo ciascuno di noi, chi allora di noi contraverrà sia tenuto ed
obligato corrispondere e pagare all’altro di noi che non contraverrà onze [importo non indicato, ndr] l’anno. E ciò
in ogni anno e per tutto quel tempo che tale contraveniente gabellerà o vendirà
il suo apparato di tonnara come sopra.
Inoltre, si
procede di patto espresso che io Marchese Amico per tutto il tempo
perpetuamente di detta società non possi pretendere cosa alcuna dal sudetto
Barone Proto o suoi per raggioni del mio malfarace esistente a luogo di detta
Tonnara di Melazzo, stante questa essere stata la nostra convenzione a riserva
della medietà di conci e ripari necessarij annualmente in detto marfarace e
loggia, che deve contribuire sudetto Barone Proto.
E finalmente, in
argomento della presente società e di quanto nel presente si contiene, io
sudetto ed infrascritto Barone Proto, nella più debita ed opportuna forma per
me e miei, prometto di cedere dalla pesca prossima ventura in avvenire ed in
tutto il tempo futuro in che perdurerà ferma la società sudetta e far cedere,
tanto dalli miei Signor Padre e fratello Abbate Don Cesare Mariano, come da
qualsisia altra persona per li quali prometto di voto nomine proprio infra
senza che mi potessi scusare d’esser promesso il fatto alieno al calato della
Tonnara sudetta della Gabbia o altra Tonnara nel mare di Levante, principiando
dalla Tonnara di Melazzo sino a Malpertitto sotto la spiaggia di Fundaco Nuovo.
Altrimenti voglio esser tenuto a tutti j danni, perdite, spese ed interesse,
sotto l’espressa ipotega de’ miei beni ed averi e non altrimenti.
Per l’esecuzione
quindi e puntuale adimplimento delle cose sudette abbiamo fatto il presente
alberano sottoscritto di nostro proprio carattere con un altro consimile sottoscritto
come sopra per restare uno in potere di me Barone Proto e l’altro di me
Marchese Amico, per la comune nostra cautela. Ad effetto di pubblicarlo in ogni
caso di contravenzione ad ogni nostra e chichesia di noi, anche l’uno
independente dall’altro prima, a semplice richiesta per atti di publico notaro.
A quale uopo ci abbiamo fatto procuradori inrevocabili correspettivamente per
procura il di d’oggi stipulata agli atti di Notar Don Felice Garuffi e non
altrimenti.
Oggi li 12
gennaro 1775
Tommaso Mariano
Marchese D’Amico confermo come sopra
Francesco Maria
Proto Barone dell’Albero confermo come sopra» [Archivio Storico Museo
Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia
D’Amico-Faranda, amministrazione delle tonnare, carte settecentesche]
La Tonnara di Capo d’Orlando. Il connubio
siglato tra il Marchese D’Amico ed il Barone Proto non conseguì risultati
esaltanti. E così, dopo aver calato per due anni la Tonnara di Milazzo, i due
decisero di puntare sulla Tonnara di Capo d’Orlando, mai calata in tempi
moderni. Nel 1776 i due aristocratici milazzesi misero così a disposizione
della Tonnara di Capo d’Orlando sia l’apparato della Tonnara di Milazzo, di
pertinenza del marchese D’Amico, sia quello della Tonnara della Gabbia, di
pertinenza invece del barone Proto. Quegli stessi due apparati che con l’atto
contrattuale del 12 gennaio 1775 erano stati uniti in vista del calo della
Tonnara di Milazzo. Da parte loro i notabili di Capo d’Orlando si impegnarono a
finanziare i novali, ossia i
materiali da rinnovare in vista dell’imminente stagione di pesca. Che si rivelò
tutt’altro che ubertosa. Anzi, si registrò persino la perdita di uno dei
paliscarmi giunti da Milazzo. Un tentativo, quello del rilancio della Tonnara
di Capo d’Orlando, ampiamente documentato dal Duca d’Ossada nelle sue Osservazioni
pratiche intorno la pesca, corso e cammino de' tonni del 1816 (pag. 122). Lo stesso Duca d’Ossada
non manca di segnalare che in quella sfortunata stagione di pesca del 1777 -
contraddistinta da tempeste che danneggiarono anche la Tonnara di S. Giorgio -tanto
il marchese Tommaso Mariano D’Amico, quanto l’Abate Cesare Mariano Proto,
fratello del barone dell’Albero, si trasferirono a Capo d’Orlando per seguire
da vicino le operazioni. Tornarono a Milazzo sconsolati, portando con sé i due
apparati che furono nuovamente custoditi nel magazzino del Malfarace della
Tonnara di Milazzo, chiamato non a caso il «magazzino dell’apparato», per
essere nuovamente impiegati, nella stessa Tonnara di Milazzo, nel corso della
stagione di pesca 1778, al termine della quale fu concluso il seguente atto
contrattuale:
«Gesù Maria
Giuseppe
Per il presente
privato scritto, quale vogliamo che abbia forza e vigore di publico contratto
garentito di tutti li patti, clausole e condizioni dalla legge voluti, e come
se stipulato fosse per atti di publico notaro, lo infrascritto Marchese Don
Tomaso Mariano D’Amico ed Abbate Don Cesare Mariano Proto dichiariamo che
quell’apparato di tonnara che abbiamo in commune, la consistenza del quale si
detegge dalla nota firmata tra di me Marchese D’Amico e Barone Don Francesco
Maria Proto, fratello di esso signor Don Cesare, pubblicata agl’atti di Notar
Don Felice Garuffi sotto dierum, resta indiviso ed oggi si riposta, come al
solito, nel magazino di me sudetto D’Amico, detto dell’apparato, esistente nel
mio malfarace della Tonnara di Milazzo. Con avere ogn’uno di noi per commune
cautela una chiave del magazino sudetto. Ed è quell’istesso apparato che servì
sì per calato della Tonnara di Milazzo, come pure nella Tonnara di Capo
d’Orlando e nella presente pesca per la Tonnara di Milazzo nuovamente. Restando
nella piena libertà di me sudetto Marchese D’Amico e di detto Abbate Proto di
dividere, quante volte così a noi sarà per piacere, sudetto apparato. E per
apparire in ogni futuro tempo per cautela dello stesso di Proto e di me
Marchese Amico si è fatto il presente firmato di nostra propria mano, sendosi
per patto convenuto che lo Marchese D’Amico non possa pretendere per il riposto
di detto apparato di tonnara diritto alcuno di loero [canone di locazione, ndr] o altro dal sudetto di Proto. Avendo
fatto per la validità del presente noi sudetti ed infrascritti procura in
persona di noi stessi ad publicandum il presente atto dichiarativo, o sia
alberano. E diamo in vigor del presente a qualunque publico notaro di questo
Regno l’assenzo di potere il medesimo in forma publica ridurre a [segue termine di ardua trascrizione,
ndr] d’ogn’uno di noi contraenti e non altrimenti, né in altro modo.
Oggi in Melazzo
lì 27 giugno 1778
Cesare Abbate
Proto confermo come sopra
[Marchese Amico
confermo come sopra]» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle
tonnare, carte settecentesche]
La Tonnara del
Tono. Nel contratto di cui sopra il marchese D’Amico e
l’abate Proto dichiaravano di fatto di continuare la loro società, rimanendo indivisi i rispettivi
apparati. Ma l’abbandono della Tonnara di Milazzo da parte del marchese Tommaso
Mariano D’Amico era ormai alle porte. Stava infatti meditando di prendere in
affitto («in gabella») la Tonnara del Tono, dalla prima metà del Settecento di
proprietà della famiglia Marullo di Messina:
«Spettabile
Signor Dottor Don Giuseppe Ragusa, Giudice della Regia Corte Civile di questa
Sempre Fidelissima e Leale Città di Milazzo
L’illustre
Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, nella prevenzione di doversi da Vostra
Signoria Spettabile per il giorno 20 del corrente mese Xbre liberare la gabella
del mare della Tonnara detta del Tono, con suo marfarace, al maggior dicitore
ed ultimo offerente, a tenore del provisionale spedito dal Tribunale della
Regia Gran Corte Civile sotto li 20 del prossimo passato mese 9bre 1778 e di
esservi stata fatta offerta sotto li 15 del ridetto corrente mese Xbre
dall’Illustre Duca di Ossada Don Franceseco Carlo D’Amico per anni otto, cioè
anni quattro di fermo ed altritanti di rispetto su il piede di onze 70 all’anno
e sotto quei patti contenuti ed espressati in detta annunciata offerta. Volendo
far cosa grata ai condomini della espressata tonnara, offerisce e meliora la
surriferita offerta fatta dal predetto Illustre Duca di Ossada sotto li istessi
patti meglio descritti in essa offerta, onze 90 all’anno, vale a dire onze
venti più del piede delle onze 70 offerte dal sudetto Illustre Duca d’Ossada. E
questo per li medesimi anni otto di gabella, cioè anni quattro di fermo ed
altritanti di rispetto, ad elezione di detto offerente, giusta la predetta
offerta fatta dal summentovato Illustre Duca e non altrimenti, unde.
Tommaso Mariano
Marchese D’Amico confermo come sopra» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico
e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda,
amministrazione delle tonnare, carte settecentesche].
Un Proto minaccia gli interessi economici del
marchese tentando di soffiargli la Tonnara di Milazzo. La Tonnara di
Milazzo fu comunque gestita dal marchese Tommaso Mariano D’Amico per un altro
biennio. Ciò si evince in primo luogo dai conti della taverna sia per l’anno
1779 che per il 1780. Tale contabilità riporta i nominativi dei rais (Francesco
Camarda e Nicolò San Giorgio, ai quali nel 1780 si aggiunse Francesco Peresi) e
del resto della “chiurma”, ossia marinai (tra gli altri Croce Scarmato, Matteo
Basile, Saverio Vicari, Emiliano Napoli, Francesco Puglisi e Gioacchino Camarda),
faratici ed i quattro muciari (Francesco Minuti, Giovanni Puglisi e Fedele
Camarda furono presenti in entrambi gli anni), ma anche quello del maestro
d’ascia Gregorio Rizzo.
Una lunga
missiva del 22 febbraio 1779, spedita al marchese da un cugino di nome
Giuseppe, evidenzia le difficoltà riscontrate dallo stesso marchese
nell’aggiudicarsi il «fitto del mare» per il biennio in questione. Ad opporsi
al suo desiderio di gestire per altri due anni la Tonnara di Milazzo fu un
Proto, rappresentato da un Lo Miglio e soprattutto da un Placido Sgrò, che
offrì in sede di gara - per conto del Proto - un canone anno di 70 onze, «ma
senza l’obligo di calare». Un’offerta che tendeva a danneggiare gli interessi
economici del marchese D’Amico e di ciò ne erano consapevoli tanto Costantino
D’Amico (1741-1800), cognato del marchese (aveva sposato la sua unica sorella
Caterina) nonché fratello del Duca d’Ossada Francesco Carlo D’Amico, quanto
Girolamo Bonaccorsi, che assieme al marchese avrebbe gestito sino al 1790 la
Tonnara del Tono, quanto ancora il citato Duca d’Ossada. Al contrario,
l’offerta presentata da un La Malfa per conto del marchese Tommaso Mariano
D’Amico prevedeva un canone più basso (50 onze) da versare per ciascuno dei due
anni ed, oltre al versamento delle 65 onze dovute al Comune di Milazzo per la
gabella del pesce, una penale di 200 onze da versare annualmente alla Regia
Corte nel caso non si fosse calata la tonnara. L’offerta del La Malfa era
supportata dai saggi suggerimenti del Duca S. Giorgio, ossia il Duca d’Ossada. Suggerimenti
che trasparivano nella supplica presentata dallo stesso La Malfa, in cui
peraltro si faceva cenno alla precedente aggiudicazione, nella quale si preferì
un’offerta di 70 onze ad altra più elevata (100 onze) ma sprovvista di penale
in caso di mancato calo della tonnara. I saggi consigli del Duca d’Ossada
ebbero la meglio e così la gara fu aggiudicata in data 23 febbraio 1779 al La
Malfa (e dunque al marchese D’Amico), anche se il Proto minacciò di presentare ricorso.
«Milazzo, 22
febraro 1779
Signor Cugino
dilettissimo
Nel tempo stesso
che m’imponeste di servirvi per l’affare del fitto della Tonnara, io me ne avea
da me stesso incaricato subito che Rizzo mi riferì d’aversi presentato il
dispaccio in Secrezia all’arrivo del Signor Duca San Giorgio. Infatti andai a
leggere il contenuto di esso dispaccio. E per la condizione di liberarsi per un
solo anno, qualora consentisse l’offerta La Malfa, o per due nel caso di suo dissenso,
inrinovai, e si formò una supplica per la quale il Malfa si dichiarava di non
consentire per la liberazione d’un anno e di volerla per due a tenore di Sua
offerta. E si disposero j pezzini al publico, fissando la liberazione per il
giorno di dimani 23 del corrente. Indi Rizzo m’informò secretamente della
lettera che vi bisognò mandare con serio, consegnatali da Don Costantino per
manifestarvi la minaccia del Signor Proto. E vi assicuro d’avermi amareggiato,
riflettendo il dispiacere che recar vi dovea. E quindi parlai col Signor Don
Gerolamo Bonaccorsi e Duca San Giorgio. Convenimmo che sarebbe un volervi fare
del male, senza capimento e col positivo loro interesse, non avendo più
apparato. Si diceva che Voi in caso di maggiore offerta vi dovressivo ritirare
con penzare al vostro Capobianco o altra parte, per non restarvi infruttuoso
l’apparato. Io però aggiunsi che, pria di ciò fare, era necessario mettersi una
condizione che dovrebbe pensare il Proto a non poterla superare. Valeva dire di
obligarsi Malfa a calare con effetto per due anni la tonnara, qualità che il
Proto non avrebbe potuto superare. Ma a buon conto si risolse di attendersi il
ritorno del vostro serio per sentire i vostri sensi. Venuto questo, e rese da
Rizzo le lettere a San Giorgio e Don Costantino, ci siamo uniti con San Giorgio
e risolsimo alla supplica fatta di Malfa, come sopra vi dissi, dichiaratoria
dell’animo suo di volerne per due anni la liberazione. Ch’egli per far vedere
la grande utilità della Regia Corte si obligava per li due anni calare la
tonnara, e non calandola in pena obligarsi pagare alla Regia Corte onze 200
all’anno, le onze 65 alla Città per la gabella del pesce, oltre le onze 50 del
fitto e gl’altri dazi secondo l’offerta da quel patto ricavare la Regia Corte.
Che sperimentandosi la tonnara con frettilità, potere nel sequente arrendamento
ricevere aumento di gabella e dal prodotto del pescato conseguire tratta ed
altri emolumenti. So per rapporto del Signor Miglio, fatto a San Giorgio questa
sera, che Placido Sgrò offerir volea onze 70 all’anno, ma senza l’obligo di
calare. Per il che il San Giorgio li disse di non essere al caso, avendo
parlato col Segreto questa mattina. Come ancor io pratticai per sistemarlo,
come consentì, che il patto di calar la tonnara si più profittevole. E di fatti
nella supplica si pose ancora il riflesso che nel trascorso arrendamento il
Tribunale, giusta il sentimento del Proconservadore, considerò più profittevole
l’offerta di onze 70 da quella di onze 100 di mastro Giovanni D’Amico, senza
l’obligo di calar la tonnara. Il Miglio però richiese da San Giorgio se avea
commissione da voi per accomodare, giaché nella lettera di Don Costantino vi
spiegaste che avevate scritto a San Giorgio, il quale si negò dicendo che
solamente da voi gli fu raccomandata questa sua pendenza. Senz’altro fin qui
son le cose e sono le due della notte. Domani mattina è designato congresso per
la liberazione e pria di serrar la presente sarò in grado di avvisarvi l’esito.
Frattanto ò prevenito Rizzo e Grande di star pronti per disponersi colla mia
direzione quanto converrà al vostro vantaggio, per cui in ogni occorrenza
vostra potete restar sicuro come di voi stesso. E vi ò voluto di tutte le
anzidette minuzie informare, poicché vi compatisco agitato da lontano in affare
di tanta premura.
(…) Vi ringrazio
delle calzette che dal maestro riceveste doppo partito San Giorgio e l’attendo
con commodo in union della nota di spesa per rimborzarvene.
Per cultura de’
vostri effetti, dicovi che bisognò sospendersi di zappare j canneti vostri in
Puzzo di Perla, poicché coi tempi caldi che [h]an corso erano gettati e faceasi
piùtosto danno, come similmente sospese Don Costantino per i suoi dotali. In
Brigandì si è principiata la puta del bianco e si sta impalando. Di qual servigio
sono allestite le vigne di San Giovanni e San Paulino e cruciate d’aratri,
avendo rimproverato il bogaro di non aver veduto in San Giovanni ieri l’altro,
che vi andiedi, a dovere il cruciato, incaricandolo di far meglio in appresso.
Avantieri mandai
Galoffaro colla chiave in Brigandì in unione di Rizzo che per vostra
commissione mi disse doversi consegnare a Don Carlo Giovanni D’Amico il poco
vino bianco che vi era. E fu con effetto consegnato in salma una e quartari
cinque. E similmente il carratello che Rizzo mi disse avervi costà mandato,
siatene in intelligenza. Per il resto che dovete disponere in vostro vantaggio.
(…) Sta per
passare la posta e perciò metto la presente senza puotervi riscontrare l’esito
della liberazione in Segrezia, giaché fin ora s’à atteso il Secreto e non à
comparso, anche ricercato. Si fa giudizio essere opera del Signor Proto e fin
ora anche non s’à potuto saper l’idea. Sicché abbiate la sofferenza di
attendere l’ulteriori riscontri che con commodo vi darò. E vi abbraccio.
(…) Toglietevi
di sollecitudine, giaché in punto si fece la liberazione a Malfa senz’aver
comparso offerta contraria alcuna. E prima di sabato, per via di San Giorgio,
riceverete il contratto per mandarlo in Palermo. Ove bisognate prevenire,
giaché, come mi riferì San Giorgio, per detto di Miglio minacciò il Proto di
farne in Palermo qualche cosa, se pure si verificherà. E di nuovo vi abbraccio
(…).
Vostro Cugino
Giuseppe
[Al] Signor
Marchese D’Amico, Messina» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle
tonnare, carte settecentesche].
Da una missiva
inviata in quello stesso giorno al marchese da Giovan Battista Rizzo, persona
di sua fiducia che curava gli interessi delle sue proprietà (era peraltro il
padre del maestro d’ascia Gregorio citato in precedenza), emerge che il Proto
concorrente del marchese era uno dei soci coi quali lo stesso marchese aveva
condiviso la sfortunata esperienza dalla Tonnara di Capo d’Orlando. Un’esperienza
accompagnata da dissidi e dissapori, tanto più che alla base dell’impegno del
marchese nella Tonnara di Capo d’Orlando c’era la promessa - non mantenuta dai
Proto - della Tonnara di Vaccarella:
«A Sua
Eccellenza Signor Marchese Amico, Messina
Milazzo, lì 22
febbraio 1779.
Eccellenza,
ho consegnato al
signor Don Carlo di Giovanni il vino biancho di Brigandì in salme 1.5,
unitamente col quartarolo che sarà consegnato a Vostra Eccellenza da Padron
Antonino Caponi.
Ieri ad ore 17
ritornò il corriero rimesso per l’affare della tonnara. Subbito andaj a trovare
al signor Catanzaro e signor Duca S. Giorgio e consegnai la lettera. Ed avendo
letto la sudetta lettera andiammo a trovare al signor Miglio per ripigliarci la
supplica fatta, per aggiungere tutti quei patti che si stimarono necessarij a
tale assonto. La disgrazia apportò che detto signor Miglio si trovò in campagna
e sino ad ora una di notte non era ancora venuto. Si rimese che questa mattina
si farà quanto si è disposto. Credo però che, vedendo la supplica fatta, li
signori di Proto non averanno l’ordine passare innanzi. Si parlò al Segreto di
bella maniera e detto signore pare essere inclinato a favore di Vostra
Eccellenza. Ma non lascio dire essere suo [segue
termine di ardua trascrizione, ndr] si da incarico all’ordine che dice di
calarsi la tonnara per la nova sperienza.
Consegnai la
lettera al signor Don Costantino, il quale la lessi alli signori di Proto.
Altro non pottè ricavare. Se non che il signor baronello Don Paulo vuole
aumentare [?] onze 20. Il barone grande li rispose che allora si ne parlerà
quando si bandizza e [segue termine di
ardua trascrizione, ndr] il signor Don Costantino, secondo il suo parlare
che faceva, volea qualche libertà di accomandare, dicendo la perdita fatta soffrire
Vostra Eccellenza alli detti signori. Ed io li rispose che detti signori fecero
soffrire a Vostra Eccellenza per la mancanza li fecero di Vaccarella, che
Vostra Eccellenza non avea simili penzieri di andare in Capo d’Orlando se non
avea tale promessa. Ma Vostra Eccellenza in detta lettera li taccia di buona
maniera a’ detti signori.
Io credendo che
Vostra Eccellenza si portava in questa per questi giorni, che però ho scritto
per li legni. Vostra Eccellenza mi dica se vuole che si compria, gia che sono
inviati i legni [segue termine di ardua
trascrizione, ndr] e sono apprestato di dare le onze 6 per li cantara 200 e
più che stanno trasportando in Fondachelli e giornalmente ne portano in
tonnara.
Venne una barca
napoletana che cerca [segue termine di ardua
trascrizione, ndr] e venderono li
signori Proto, Signor Bonaccorso [?]. Io non mi prese libertà di darci quel
poco che si trova in tonnara. Se Vostra Eccellenza vuole mi lo avisa. Allorché
Vostra Eccellenza mi dia tali libbertà, lo praticherò colla presenza delli
rajsi che sono in tonnara che frabicano la rete. Con primo commodo Vostra
Eccellenza può mandare li chiodi barcalori ed ottantini e rotoli 15 di stoppa
di calafato, mentre qui ne ho comprato rotoli 25 a grani 7 rotolo, non avendo
potuto avere tutto il ***. Non devo dire altro. Mi resto a suoj ordini.
Di Vostra
Eccellenza
suo umilissimo
servo,
Giovanni
Battista Rizzo» [Archivio Storico Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, amministrazione delle
tonnare, carte settecentesche].
APPENDICE I
La documentazione riportata di seguito è custodita
presso l’Archivio Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico
Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, “amministrazione delle tonnare, carte
settecentesche”.
§I
Fornitura quotidiana tonni freschi pescati nella
Tonnara di Milazzo da inviarsi a Messina, a cura del marchese Don Antonino
D’Amico, nei mesi di maggio e giugno 1766: acquirente il messinese Leonardo
Galati.
Alberano con
l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati
Iesus Maria
Ioseph
Noi sottoscritti
l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati, per il presente scritto valituro
come publico contratto guarentiggiato con li patti soliti di non opponersi,
dichiariamo di aver io di Amico venduto dal primo pesce che pesca questa
Tonnara di Melazzo sino all’ultimo di questa attuale pesca 1766, mandare
cantara dieci il giorno o sia per mare, o sia per terra con le cavalcature
nelle Città di Messina, per risico e pericolo di me, sudetto di Galati. Ed io
sudetto di Galati dichiaro di aver divenuto alla sudetta compra, bene inteso
che di tutti i giorni sine sentono esclusi due la settimana, cioè il lunedì per
il martedì e il sabbato per la domenica, stando in disposizione di me di
Galati, in caso in detti due giorni lo volesse, che devo richiederlo per
lettera.
Per il prezzo
per tutto il mese maggio devo pagarla io sudetto di Galati a tarì
quarantacinque il cantaro e per il mese giugno a tarì trenta otto il cantaro,
consignando pagando. Qual pagamento deve essere giusto quanto va [?] scritta la
tonnina pesata in loggia dallo scrivano di detta tonnara, nella quale pesandosi
sia da notare in detto libro rotolo due a cantaro meno nel peso sudetto, che si
ribasciano per battimenti. E detti tonni [h]anno da essere mandati freschi. E
solo si è convenuto io di Galati ricevere di un giorno prima per tutto il mese
maggio presente. Onde per sapersi la verità del nostro convenuto, si sono
formati due consimili di propria mano di me di Galati a fine di averne memoria
del concertato, per disimpegnare la nostra obligazione per l’adempimento del
nostro convenuto del presente alberano, avendo divenuto senza procura a
publicandum per trattarsi affare di negozio. Che mancando ogni uno di noi
sudetto di Amico e Galati alli impegni e senza strepito di giudizio cerchiamo
per giudice allo spettabile Consolato di Messina e però ci sottoscriviamo
confirmando come sopra.
Oggi in Melazzo,
lì 2 maggio 1766
Marchese Amico
confermo come sopra
Leonardo Galati
confermo come sopra
§II
Il marchese Antonino D’Amico ed il messinese
Leonardo Galati convengono in data 1 maggio 1767, a parziale modifica di quanto
da loro stipulato il giorno stesso davanti al notaio, di dividere il pescato
del 1767, verisimilmente della Tonnara di Milazzo, in due eguali porzioni, una
destinata alla vendita di tonno fresco a Messina per conto esclusivo del Galati
e l’altra alla lavorazione sotto sale in tonnara ad opera del Galati, ma in
società col marchese. La scrittura privata trascritta di seguito aveva con
tutta probabilità lo scopo di frodare il fisco.
Iesus Maria
Ioseph
Noi sottoscritti
l’Illustre Marchese Amico e Leonardo Galati per il presente scritto valituro
come publico contratto, quarentiggiato con li patti soliti di non opponersi,
dichiariamo di aver io di Amico venduto a detto di Galati tonnine fresche
cantara duecento con doverli salare in questa tonnara. Essendo detti cantara
duecento tonnine che si devono salare correre a conto ed a risico di me
sottoscritto di Galati ed Amico, cioè medietà a conto di Amico e medietà a
conto di Galati, pagandola al prezzo di onze una e tarì quatro e grana 10. E
con tutti quelli patti, clausoli e condizioni nel contratto fatto oggi il primo
maggio 1767 per li atti di Notar Garuffi. La pura verità si è che la somma di
detta tonnina non è per cantara quattrocento, come appare per il contratto per
li atti di Notar Garuffi, essendo per onze duecento e li altri cantara
duecento, complimento di cantara 400, sono per portarmeli io di Galati nella
Città di Messina. E sono al prezzo di tarì quarantacinque cantaro per tutta
quella tonnina si consegna nel mese maggio e per quella si consegna per tutti
li 13 giugno 1767 a tarì trentacinque cantaro. E non complendosi in detti tempi
questi cantara duecento, dovendosi in fresco, si abbia il meno a comprendere
nel salato. Onde per sapersi la verità del nostro convenuto si sono formati due
consimili di propria mano di me di Galati a fine di averne memoria del
concertato, per disimpegnare la nostra obligazione per adempimento, come per il
presente ci confermiamo oggi il primo maggio 1767.
Marchese Amico confermo come sopra
Leonardo Galati confermo come sopra
§III
Leonardo Galati scrive al termine contrattuale della
campagna di pesca 1768, ossia in data 13 giugno. Si chiudono i conti, ma
l’annata è stata per lui sfortunata, malgrado avesse strappato al marchese
D’Amico il vantaggioso prezzo di acquisto di tonnina fresca di tarì 40 il
cantaro nel mese di maggio. Non gli viene nemmeno riconosciuto l’errore da lui
riscontrato relativamente al carico dell’«ultima barca di tonnina», errore che
gli offre lo spunto per uno sfogo, lamentandosi di aver di fatto lavorato per i
proprietari di tonnara, piuttosto che per suo proprio conto: «come passò
l’affare lo sa Iddio. A tutti lor Signori mezzo cantaro più e meno niente
importa ed a me mi importa assai. Del resto per denari non ò stato mai
abbadato. Facciano come li piace. In questo anno ò travagliato per li padroni
di tonnara. Quando dovea godere a tarì 40 cantaro si à perso la tonnara a non
pigliare più un grano».
Eccellenza,
li accludo la
nota a Vostra Eccellenza da cotesto Don Francesco Eustachio, procuratore del
monasterio di Rimetta, per il ricorso fatto in Palermo. E oggi fu dato ordine
al Signor Ministro Don Francesco Gemelli per farci pagare il cenzo che Vostra
Eccellenza deve in ogni anno. Che dalla acclusa nota Vostra Eccellenza potrà
restar informato e, considerando la bisogna, benignarsi darmi di un subbito
risposta come deve esser servito. Se si compromette darli le tonnine dell’anno
1767 e 1768 due annualità, come asserisce che Vostra Eccellenza li aggrava di
esigersi sopra detto cenzo in rotoli di tonnina l’affitto di magazeno ad altre
spese, sentendo non esser obligato a pagar niente per esser cenzo. E così
quello che devo pregar a Vostra Eccellenza darmi distinta risposta, avendosi
trattenuto di non far mandare il portero in Melazzo per questo affare secondo a
l’ordine il Signor Ministro, ma perché il procuratore mi à voluto fa[v]orire [e
così] si à sospeso ogni cosa insino che Vostra Eccellenza darà riscontro di
tutto e come deve esser servito.
Le tonnine
salate nella stipa grande se può sortire che farà pagare quello avanzo che vi
sarà essendo più facile alla vendita.
Ricevei il novo
conto per mano del mio compare Don Fidirigo e non ò avuto bastante tempo,
considera[n]do a fare il confronto per non esserci danno né per me, né per
Vostra Eccellenza, essendo il mio piacere praticare il giusto. Resti però
prevenuto che nel mio avere mi deve passare altri onze quattordici, tarì 1.10,
che in appresso mandirò distinta nota. Per soddisfazione di Vostra Eccellenza
basta che resti inteso Vostra Eccellenza doversivi passare onze 14.1.10.
Mi scrisse il
Signor Don Francesco Puglisi e compare Don Fidirigo per li errore nell’ultima
barca di tonnina, legitimandosi non esserci nessuno errore. Io posso dirli a
Vostra Eccellenza che il mancamento li ò avuto da me mai pratticato, come passò
l’affare lo sa Iddio. A tutti lor Signori mezzo cantaro più e meno niente
importa ed a me mi importa assai. Del resto per denari non ò stato mai
abbadato. Facciano come li piace. In questo anno ò travagliato per li padroni
di tonnara. Quando dovea godere a tarì 40 cantaro si à perso la tonnara a non
pigliare più un grano. Non ò altro che dire, restando prontissimo alli comandi
di Vostra Eccellenza con tutti di questa casa.
Messina, lì 13
giugno 1768
di Vostra
Eccellenza Signor Marchese Amico
mmilissimo suo
divotissimo suo obbligato suo servitore
Leonardo Galati
Crediti del marchese D'Amico per tonnine salate vendute a diversi soggetti (1769)
§IV
Fornitura libàni di Spagna. I libàni di sparto altro
non erano che cordami di fabbricazione spagnola. Si vendevano a dozzine. Il
duca d’Ossada, Francesco Carlo D’Amico (1740-1825), nel 1816 riferiva che i più
pregiati erano «quelli del mazzarrone o pure di Alicante, chiamati libani
cinquini». Intrecciando 3 o 4 libani si otteneva un “resto”, ossia una gomena
solitamente impiegata come cavo di “summo”, al quale si appendevano le pareti
delle camere. I “summi” erano cavi galleggianti, essendo sostenuti a galla da
sugheri. Nel marzo del 1780 lo stesso Duca d’Ossada ordinò a Napoli, tramite il
fratello Cesare, 60 dozzine di libani. Non essendo riuscito a farli recapitare
sino a Milazzo, pregò suo cugino, il marchese D’Amico, che allora risiedeva a
Messina, di prenderli in carico assieme ad una corniola incastonata in oro e
recante inciso un cupido.
Napoli, 5 di
marzo 1780
Sua Eccellenza
Signore Marchese D’Amico, Messina
Signor cugino
amabilissimo,
il Duca mio
fratello, che da più tempo m’ha commissionato la rimessa di dozzine 60 di
libani, m’ha prevenuto che, qualora non potessi trovare un imbarco che li
trasportasse addirittura in Melazzo, li dirizzassi a voi.
Su tal
prevenzione formo a voi la presente compiegandovi poliza di carico di esse
dozzine 60 di libani che vi saranno consegnate da Padron Crescenzio di Lauro,
cui pagherete di nolo ducati 24 che v’intenderete coll’istesso Duca mio
fratello, che mi significa d’avervi di tutto prevenuto.
In si fatta
circostanza non lascio di ri[n]novarvi il cordiale mio attaccamento e la brama
che nudro de’ vostri pregiatissimi comandi, in attenzione de’ quali, riverendo
tutti di vostra Famiglia, vi abbraccio e mi rapporto.
Vi rimetto per
l’istesso Padrone Crescenzio una corniola legata in oro colla incisura d’un
cupido che rimetterete a mio fratello.
Divotissimo
obbligatissimo servitore vostro e cugino
Cesare D’Amico
§V
Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola una
prima porzione del pescato 1784 della Tonnara del Tono
Gesù Maria
Giuseppe
Convenendo a noi
infrascritti Francesco Savioti e Giuseppe Di Bella proseguire pella prossima
ventura pescagione 1784 il traffico delle tonnine fresche ed a salare nella
Tonnara del Tono, oggi amministrata dall’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano
D’Amico. Come insieme sendo io sudetto D’Amico nella bisogna dello sborzo di
alcune somme per supplire alle ingenti spese del calato di sudetta Tonnara in
detto venturo anno, perciò d’unanime consenso e volontà abbiamo stabilita la
presente convenzione per via d’alberano, quale vogliamo che abbia forza e
vigore di publico strumento garenteggiato delli soliti patti e della via
executiva, in vigore del quale si conviene e stabilisce.
Primieramente
devo io sudetto Illustre Marchese, compita la obligazione della Piazza e
Taverna in cantara tre al giorno di tonnina fresca, dare e consegnare alli
sudetti Savioti e Di Bella la metà di quella tonnina che resterà in loggia per
mio conto, principiando dal primo di maggio sino alla tagliata della tonnara. E
ciò sino alla quantità di cantara quattrocentosessanta in fresco, da pesarsi
colla solita statera. Dovendo noi sudetti Savioti e Di Bella pagare detta
tonnina alla raggione di onza una e tarì dieci cantaro dal primo di maggio sino
alli 15 di sudetto mese e ad onze 1.7 dal giorno sedeci sino al termine della
pesca di essa tonnara. Così di commune accordo per patto.
Inoltre devo io
sudetto Marchese delli palamidi che pescherà sudetta tonnara in tutto il corso
della pesca, compite le obbligazioni di piazza, taverna e camparia, dare e
consegnare alli sudetti Savioti e Di Bella n.° 300 palamidi al giorno alla
raggione di due terze parti di come si pescheranno. Ed una terza deve per mio
conto libero remanere. Così ancora delli palamati, compita la piazza, devo
darglene cantara due al giorno. Da doversi liquidare in quanto alli palamidi
dal principio sino al termine ad onze 1.10 per cento e li palamati ad onze 1.7
cantaro nella stessa forma.
Detto che j
tonni di cantaro a basso devono essere e pesarsi colle loro teste e di cantaro
in sopra devono levarsi le teste. E ciò quando la consegna giornale della
tonnina supererà li cantara sei al giorno sic ex accordio.
M’obligo io
sudetto ed infrascritto Marchese dare alli sudetti Savioti e Di Bella il sale e
barrile necessario in tutta la pesca, con passarlo aj medesimi al prezzo
corrente. Ed il commodo in tonnara per fare il salato sudetto.
Confesso io
sudetto ed infrascritto Marchese Tommaso Mariano D’Amico dalli sudetti Savioti
e Di Bella la somma di onze cinquecentosessantotto di denari contanti, onze
sessanta quelle stesse che deve per una tratta da pagare a 18 corrente agosto
Francesco Savioti ed onze 100 s’obligano sudetti Di Bella e Savioti pagarle a
20 Xmbre venturo 1783.
Delle quali
somme componenti in tutto la somma di onze settecentoventotto, in quanto a
quelle ricevute gle ne fo apoca di pagamento a stile di publico notaro per
conto dell’obligazione anzidetta. Ed in quanto alle onze 100 da pagarsi da noj
infrascritti Savioti e Di Bella nelli 20 del prossimo venturo Xmbre 1783, vogliamo
ed intendiamo restar tenuti ad ogni danno ed interesse in caso di ritardato
pagamento solo juramento.
Devono le somme
sudette estinguersi e scomputarsi colla consegna delle tonnine, palamati e
palamidi che s’andranno di giorno in giorno consegnando alli sudetti Savioti e
Di Bella nel corso di sudetta pesca 1784. Ma quando maj nella prossima ventura
pescaggione in tutto o in parte non potrà compirsi lo sborzo della somma di
sopra partitamente descritta, in questo caso quel tanto che resterà in debbito
detto Illustre Marchese noj infrascritti Savioti e Di Bella vogliamo e ci
contentiamo che lo sodisfi nella susseguente pescaggione 1785. Con questo però
che della somma resterà in debbito detto Illustre Marchese a tagliata di
tonnara, non facendosi altra convenzione deve dalla liquidazione del conto sino
a Xbre pagare il sei per cento sic ex accordio.
Per adempimento
di quanto nel presente si contiene, noj sudetti ed infrascritti Marchese Don
Tommaso Mariano D’Amico, Francesco Savioti e Giuseppe Di Bella abbiamo fatto il
presente alberano di cui se ne sono esemplati due consimili, uno per restare in
podere di noj sudetti Savioti e Di Bella pella nostra cautela ed altro in
podere di me Marchese Amico. Avendo pure oggi stesso, per potersi il presente
in caso di contravvenzione publicare, stipulata unitamente procura ad
publiandum alberanum in persona in noi sudetti ed infrascritti contraenti
reciprocamente per atti del notaro Don Pietro di Lisi di questa sudetta città e
non altrimente.
Oggi in Messina
li 6 agosto 1783
Tommaso Mariano
Marchese D’Amico confermo come sora
Francesco
Savioti confermo come sopra e mi sottoscrivo per me e Giuseppe Di Bella.
§VI
Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola una
seconda porzione del pescato 1784 della Tonnara del Tono
Gesù Maria
Giuseppe
Sendosi fra noi
infrascritti illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico e Gioachino Calabrò
convenuta pella pesca prossima ventura 1784 la seguente obligazione sopra la
Tonnara del Tono, perciò abbiamo stimato la medesima per via del presente
privato scritto formale pella reciproca cautela, dichiarando lo stesso e
volendo che sia valido come publica scrittura, da cuj ne potesse nascere ogni
pronta esecuzione pelle vicendevoli obbligazioni in esso contratte. Il tutto a
stile di publico notaro.
Primieramente
m’obligo io sudetto ed infrascritto Marchese dare e consegnare nella loggia
della Tonnara del Tono colla solita statera al sudetto di Calabrò la quantità
di cantara sessanta tonnina fresca alla raggione di terza parte di quella che
resta in loggia per mio conto, restando prima compite interamente le
obbligazioni di piazza, taverna e di Francesco Savioti, da me anticipatamente
contratte. E ciò fino alla quantità di sudette cantara sessanta. E compendo non
resti ad altro tenuto ed obligato, potendo, compita sudetta quantità, anche
disponere in favore di chi più mi piacerà la sudetta terza parte nella maniera
come sopra s’è descritto e stabilito.
Inoltre devo
consegnarle giornalmente nel corso della pesca di sudetta tonnara palamidi n.°
50, prendendone la quantità di pesci n.° 500. Sormontando detto numero e
giungendo fino alli 1000 altri n.° 50, avanzandosi li mille pesci altri 100. In
tutto possa consegnare io sudetto di Calabrò n.° 200 pesci di mano in mano,
pescandosi tutta la quantità di sopra descritta. E pigliandosene meno a tenore
di come sopra resta disposto e concertato. E ciò sino alla quantità in tutto di
pesci n.° 3000 tantum et dumtaxat.
E per fine debba
io sudetto Marchese consegnarLe in ogni giornata, pescandole sudetta tonnara,
cantara due palamati al giorno alla raggione di terza parte di quelli vi
saranno in loggia per mio conto. E più, compite e sodisfatte le obbligazioni di
piazza e Francesco Savioti, colla stessa regola che di sopra s’è convenuta
anche pell’altri pesci che sono stati obligati.
Li prezzi di
sudetta tonnina, palamati e palamidi, debbono ragionarsi come al seguente modo.
Della tonnina dal principio della pesca sino a tutto maggio ad onze 1.15
cantaro e dal primo giugno sino alla tagliata di tonnara ad onze 1.10 cantaro.
Dei palamati ad onze 1.12.10 dal principio fino al termine della pesca e dello
stesso prezzo di onze 1.12.10 li palamidi dalli primi sino all’ultimi
consegnandi sic ex accordio e di unanime consentimento.
Confesso io
sudetto ed infrascritto marchese la somma di onze cento contanti dal sudetto di
Calabrò ed altre onze venticinque mi obligaj ed obligo io sudetto ed
infrascritto Gioachino Calabrò pagarle e sodisfarle all’illustre Marchese a
proprie mani F. I. nella vigilia del prossimo Santo Natale.
Per adempimento
di quanto nel presente si contiene e s’è stabilito, noi infrascritti Marchese
D’Amico e Gioachino Calabrò ci costituiamo [segue
formula giuridica latina di ardua trascrizione, ndr] per poter sempre ed in
ogni caso il presente publicare in caso d’inadempimento del medesimo. Ed
abbiamo del presente formato due consimili, uno da restare in potere di me
marchese Amico ed altro in potere di me infrascritto Gioachino Calabrò e non
altrimente.
Oggi in Melazzo
23 ottobre 1783
Tommaso Mariano
Marchese D’Amico confermo come sopra
[Gioachino
Calabrò confermo come sopra]
Tagliata la
tonnara e fatti li conti [segue termine
di ardua trascrizione, ndr] che dovrò io infrascritto Marchese rifare o
restituire al sudetto di Calabrò debba praticarlo ad ultimo luglio 84 sic ex
accordio.
§VII
Contabilità obbligazione pescato 1784 della Tonnara
del Tono (Savioti e Di Bella)
Dare Francesco
Savioti e Compagni per la tonnina, palamati, palamidi, sale e barrile dati in
questa Tonnara del Tono nella Pesca 1784
- In primis onze
265.18.9 sono prezzo di cantara 214.69 tonnina, cioè cantara 8.96 a tarì 40 [onze 1.10, ndr] e cantara 205.73 a tarì
37 [onze 1.7, ndr], dico onze
265.18.9;
- più onze
2.21.8 sono prezzo di cantara 2.20 palamati a tarì 37, dico onze 2.21.8;
- più onze 38.6
sono prezzo di n.° 2.865 palamidi a tarì 40 centinajo, dico onze 38.6;
- più onze
11.8.5 prezzo di sale grosso e molito, cioè cantara [non indicato, ndr] grosso e cantara [non indicato, ndr] molito a diversi prezzi, dico onze 11.8.5;
- più onze
15.2.10 prezzo di n.° 181 barrile, cioè tarì 2.10 per uno, onze 15.2.10.
Totale dare,
onze 332.26.12 [si tenga presente che
un’onza equivale a 30 tarì ed un tarì a 20 grani, ndr]
Avere sudetti di
Savioti e compagni per quante si ne confessarono dell’alberano del 16 agosto
1783, onze 568;
più per quanto
si pagò in Messina a 18 agosto al spettabile marchese Carrozza, onze 60;
più pagate a 20
7bre 1783 in saldo, onze 100;
più per [segue termine di ardua trascrizione,
ndr] si bonificano annualmente per fitto dell’arzanale, onze 2
Totale avere,
onze 730 [dedotte dalle quali il dare di onze 332.26.12] resta credito onze
397.3.8.
§VIII
Oggetto del presente atto - datato maggio 1791 e disposto
dagli amministratori comunali (giurati) previa istanza del sindaco - è la quota
di pescato destinata per consuetudine alla Piazza, ossia alla locale pescheria
per la vendita al minuto. Il documento in questione raccoglie tre relazioni di
altrettanti commercianti che si erano aggiudicati tale quota di pescato. Mario
Raffa, ad esempio, affermava di essersi aggiudicato quella della Tonnara del
Tono di competenza del marchese D’Amico, ai prezzi calmierati (“mete”)
stabiliti dai giurati e versando un corrispettivo allo stesso marchese D’Amico.
Lo stesso Raffa si sarebbe riservato una piccola somma (“grana 4 a rotolo”)
quale corrispettivo per la vendita al pubblico. Tre piccioli di questi grana 4
sarebbero spettati al taverniere della stessa Tonnara del Tono.
Die nono m. maij
9a Ind. 1791
Relatio Marij
Raffa quondam Ioseph, Vincentij Sisinni quondam Philippi et Matthei Leto
quondam Ioseph huius Fid. Leal. Mylarum Urbis pres. cogn. capta et recepta cum
debito iuramento de ordine et mandato spett. Iurat. huius semper Fid. Urbis ad
instantiam spett. sindaci et procuratoris generalis huius publici tali est ut
infra sequit.
Dice il detto di
Raffa, relatore, che per convenzione fatta per alberano privato coll’illustre
Marchese D’Amico gli sborzò sudetto di Raffa onze 50 di denaro contante. Ed il
detto Marchese D’Amico obligò al medesimo, sopra il pescato di medietà di
Tonnara del Tono a lui appartenente, dargli quintali due al giorno di tonnina e
di ogn’altro genere di pesci scamali quintali due al giorno, a misura del
piscato di detta tonnara. Ed il prezzo di detti generi di pesci pagarli il
detto di Raffa secondo la meta che daranno i spettabili giurati, dedotti grana
4 di vendita a minuto appartenente al detto di Raffa per ogni rotolo. Sopra
questi grana 4 a rotolo deve detto di Raffa pagare piccioli 3 a rotolo al
taverniere di essa tonnara ed il Raffa obligare mandare a prendersi i pesci
della tonnara e portarseli alla Piazza. Sopra gli altri pesci, come siano
palamati e scombri, pagarli secondo la meta come sopra e ricavarne per sua
rendita grana 3 a rotolo e sopra questi grana 3 pagar detto di Raffa li
piccioli 3 a rotolo al taverniere di detta tonnara.
Per li palamidi
poi doverli pagare ad onze 1.10 centinajo e pagare piccioli 3 a rotolo al detto
taverniere. Il pescespada, fuori calli e corrie che restano per conto del
Marchese D’Amico, pagarlo ad onze 2.10 quintale e pagare li piccioli tre a
rotolo al taverniere.
Dice di più esso
relatore di Raffa havere fatta col detto Marchese D’Amico la stessa convenzione
di sopra per il pescato della Tonnara del Pepe ed haver fatto al medesimo
l’anticipazione di onze 25.
Dice di più
detto relatore di Raffa che per l’altra mezza Tonnara del Tono, appartenente a
Don Giovanni Gaipa [Calapaj, ndr] di Messina, si trova stipulato contratto con
Don Benedetto Camarda per atti di Notar Don Andrea La Macchia, sotto li 19
marzo 1791. Per cui si obliga per la vendita della tonnina e pesci a tenore
della convenzione fatta al Marchese D’Amico e, non havendo fatta al detto di
Calapaj anticipazione di denaro, gli deve detto di Raffa rilasciare tarì 2 a
quintale sopra il dritto di vendita, come per detto contratto si ravvisa. Con
pagare anche li piccioli tre a rotolo al taverniere di essa tonnara.
Vincenzo
Sisinni, relatore, anche dice di haver anticipato al cavaliere Don Carlo
D’Amico [per la Tonnara di Milazzo,
ndr] onze 100 di denari. E fatta per alberano la convenzione per la vendita
della tonnina alla Piazza, palamati e pesci minuti, secondo la meta, e dover
conseguire grana 4 a rotolo con pagare [segue
termine di ardua trascrizione, ndr] piccioli 3 a rotolo al taverniere di
detta tonnara. Li palamidi pagarli ad onze 2 per ogni centinajo e li pesce
spada, fuori calli e corrie che restano per conto di detto cavaliere, secondo
la meta. E conseguire grana 4 a rotolo di vendita e sopra di tal vendita pagare
al taverniere li piccioli 3 a rotolo e detto relatore di Sisinni mandare a
prendersi ogni sorte di pesce alla tonnara.
Matteo Leto,
relatore come sopra, dice che in unione di suoi compagni fece l’antecipazione
di onze 100 alli proprietarij della Tonnara di Vaccarella. E per la vendita di
tonnine ed altri pesci regolarsi secondo la Tonnara di Milazzo, cioè venderli
secondo la meta delli spettabili Giurati, con dover conseguire grana 4 a rotolo
sopra la tonnina e grana 3 a rotolo sopra gl’altri pesci. Con pagare piccioli 3
a rotolo al taverniere. E li pescespada pagarli ad onze 2.5 quintale, come si
vede per alberano tra detto di Leto e proprietarij di detta Tonnara di
Vaccarella, sottoscritto con procura per la publicazione di detto alberano
stipulato agl’atti di notar Don Giovanni Aricò.
§IX
Il marchese Tommaso Mariano D’Amico - rappresentato
dal messinese Benedetto Camarda - vincola il suo 50% di pescato 1795 della
Tonnara del Tono al commerciante messinese Giovanni Rosso. Dalla vendita è
dunque esclusa la metà di pescato spettante al socio del marchese, ossia
Domenico Calapaj, che cinque anni prima aveva rilevato la quota di Girolamo
Bonaccorsi. La vendita viene eseguita per il prezzo di 900 onze, 800 delle
quali versate anticipatamente al momento della stipula del contratto (11
febbraio 1795). I prezzi dei singoli generi pescati (tonni, palamidi, sgombri
etc) vengono elencati tra le diverse clausole contrattuali. Da parte sua il
marchese avrebbe dovuto fornire il necessario per la salagione (fabbricato e
personale e tine di sua competenza), non potendo pretendere canoni di locazione
o rimborso alcuno, eccezion fatta per i barili ed il sale. Il pesce pescato in
eccedenza al valore di 900 onze sarebbe rimasto al marchese D’Amico. Dalla
vendita risultano esclusi uno dei 2 quintali di pesce destinati per
consuetudine alla Pescheria di Milazzo (la Piazza) - l’altro quintale gravava
sul socio Calapaj - e 25 dei 50 palamidi giornalieri destinati alla taverna
della stessa Tonnara del Tono. Nel caso in cui la pesca non fosse stata
abbondante, il marchese si sarebbe impegnato a rimborsare il valore
dell’invenduto entro il mese di dicembre 1795. Poiché il marchese non
sottoscrive in data 11 febbraio 1795 l’atto di vendita presso il notaio Bruno
di Messina, l’atto contrattuale viene da lui ratificato in notar Girolamo Maria
Le Donne di Milazzo pochi giorni dopo.
Iesus etc
Die undecimo
Februarii XIII Ind. 1795
Avanti noi
Notaro e testimonii infrascritti, presente conosciuto Don Benedetto Camarda
messinese, da me notaro conosciuto, intervenendo nel presente qual
commissionato dell’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico di Melazzo,
per lo quale (…) in virtù del presente confessa aver avuto e ricevuto dal
signor Don Giovanni Rosso, publico negoziante messinese, presente conosciuto,
onze ottocento di denari contanti di giusto peso (…). Quali onze 800 dal detto
di Camarda, nel detto nome, si ricevono e dal detto signor Rosso si pagano in
conto di onze novecento. Da pagarsi l’altre onze cento, cioè onze cinquanta in
maggio in questo 1795 e l’altre onze cinquanta in giugno sequente. Ed in
anticipazione della metà del pescato farà la Tonnara del Tono, propria in metà
di detto Illustre Marchese D’Amico, nella prossima stagione 1795. Che
intieramente tutto detto pescato, o sia la detta tangente spettante a detto
Illustre D’Amico, dal detto di Camarda, commissionato sudetto, in forza del
presente resta venduto al detto signor Rosso al convenuto e stabilito prezzo,
in quanto alli tonni alla raggione d’onza una e tarì venti per quintale, li
palamidi ad onze una e tarì venticinque il cento, li palamici ad onza una e
tarì venti per quintale, le alalunghe ad onze una e tarì sei quintale e li
scrumbi ad onza una e tarì quindici per quintale. Da pagarsi e consegnarsi
tutti detti pesci nel luogo della Tonnara colla statera d’essa secondo l’uso e
costume, riservandosi detto di Camarda nel detto nome tutti l’altri pesci oltre
li di sopra descritti che forse con detta tonnara saranno pescati in detta
prossima staggione 1795, che restano per proprio conto del detto Illustre
Marchese D’Amico. Come altresì detto di Camarda, nel detto nome, si riserva
della presente vendita quintale uno, metà delli quintali due, che secondo il costume
è obligata detta tonnara di dare per la provista giornale della Piazza di detta
Città di Melazzo, d’ogni sorte di pesci del pescato che farà giornalmente detta
tonnara. E la metà delli numero cinquanta palamidi al giorno per provista della
taverna di detta tonnara, che restano esclusi dalla presente vendita. Ed
espressamente riservati per conto del detto signor Marchese D’Amico. Beninteso
che, venendo compito a detto signor Rosso il pagamento di dette onze novecento
colla consegna del detto pescato e pria di esser terminata la stagione, in quel
caso il dippiù del pescato d’essa tonnara, o sia la metà d’esso, anderà per
conto proprio del riferito signor Marchese D’Amico, qual proprietario in metà
di detta tonnara. All’incontro, però, restando creditore detto signor Rosso,
terminato il pescato di detta tonnara, in tutto o in parte di dette onze
novecento detto di Camarda, nel nome, (…) si obligò ed obliga per contratto
dare e pagare al detto signor Rosso tutte o il residuale di dette onze
novecento nel mese decembre del corrente anno 1795, coll’esecuzione. Resta
inoltre convenuto che volendo detto signor Rosso salare il sudetto pescato,
detto Illustre Marchese D’Amico dovrà dare il commodo in tonnara e nella logia
della medietà per eseguire l’operazione sudetta, come pure le tine necessarie e
quelli uomini di servigio di detta tonnara, che non si troveranno impiegati,
senza poter pretendere cosa alcuna detto Illustre Signor Marchese D’Amico. Il
quale, altresì, dovrà somministrare il sale e barrili che saranno necessarj,
che detto signor Rosso sarà obligato pagarli a prezzi correnti, così di patto.
Che mancando il venditore, sarà lecito al compratore a tutti danni unde, delli
quali unde, quale giuramento unde, e da quello unde, per patto unde. Ed
all’incontro mancando il compratore sarà lecito al venditore a tutti danni
unde, delli quali unde, quale giuramento unde, e da quello unde, per patto
unde. E stante il superiore contratto detto di Camarda promise e promette di
voto giusta la forma del rito della Regia Corte sotto l’ipoteca unde. (…) Fra
il termine di giorni quindeci da contarsi d’oggi innanti abbia, voglia e debba
detto Illustre Marchese D’Amico da rattificare, laudare, approvare e pienamente
confermare il presente contratto di vendita. E confessione di onze ottocento e
quanto in esso si contiene a nome proprio obligarsi a favore del sudetto signor
Rosso per tutto quello e quanto detto di Camarda, qual commissionato sudetto,
resta tenuto ed obligato (…). E ciò per atto publico per mani di qualsivoglia publico
notaro coll’inserzione del presente (…). Copia della quale rattifica nel
termine sudetto presentare al detto signor Rosso (…)
Presentibus Don
Antonino Piccolo et Ioanne Turrisi, testibus.
Ex actis meis
Not. Don Antonini Maria Bruno messanensis (…)
[L’atto contrattuale di cui sopra fu
ratificato in Notar Girolamo Maria Le Donne di Milazzo in data 17 febbraio 1795,
ndr]
§X
Il marchese Tommaso Mariano D’Amico vincola il
proprio 50% di pescato 1798 della Tonnara del Tono al commerciante messinese
Giovanni Rosso.
Gesù Maria
Giuseppe
Sendo stato
nella bisogna io infrascritto Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, dopo la pesca dell’anno 1797 per supplire a
taluni pesi di considerazione a me rimasti dietro l’esito della medesima, della
somma di onze novecento per sodisfarla a diversi miei creditori e non trovando
altro capimento per rinvenire a Natale somma, feci pregare per mezzo di amici
al signor Don Giovanni Rosso per farmi il cennato sborzo con riceversi la nuova
obligazione della mezza Tonnara del Tono di mia proprietà, pella prossima
ventura pesca dell’anno 1798. Ed avendo io sudetto ed infrascritto di Rosso,
per fare cosa grata al sudetto Marchese, aderito a farle detta anticipazione,
si stabiliì perciò detta nuova obligazione della mezza Tonnara del Tono pella
pesca dell’anno 1798 nella seguente forma per via d’alberano, non avendo
convenuto per alcuni nostri privati fini formarne publica scrittura.
Chepperò in
vigore del presente privato scritto, valituro però, come fosse publica
scrittura, garentita dalla via esecutiva, patti che diconsi de non opponendo et
ad discursum ed altri, a stile di publico notaro e con ogni miglior nome,
titolo e modo, io infrascritto Marchese Amico, attesa la ricevuta anticipazione
delle onze novecento, come confesso oggi stesso avere avuto e ricevuto in
denari contanti, mi obligo sopra la mia medietà della Tonnara del Tono dare e
consegnare del pescato di essa, o sia della medietà a me spettante, li tonni al
convenuto prezzo di onze una e tarì venti quintale, li palamidi ad onza una e
tarì venticinque per cento, li palamati ad onza una e tarì venti quintale, le
alelunghe ad onza una e tarì sei quintale e li scrumbi ad onza una e tarì
quindici quintale. Da pesarsi e consegnarsi come al solito costume nella loggia
di detta tonnara colla statera di essa. Restando per mio conto tutte le altre
sorti di pesci che Dio Signor nostro manderà in detta tonnara nella prossima
ventura staggione 1798. Come del pari resta riservato, sopra detta medietà di pesci
di sopra obligati, il quintale uno al giorno pella Piazza, mettà delli quintali
due al giorno che si danno alla detta Piazza della Città di Milazzo, e la metà
delli cinquanta palamidi della taverna di detta tonnara, quali restano
preventivamente esclusi dalla presente vendita ed obligazione.
Beninteso che la
generale obbligazione dei generi di sopra enunciati deve avere la sua durata
sintantocché colla consegna, agl’indicati prezzi di sopra, resterà compita
l’anticipazione delle onze 900. E se ciò, come si spera dalla Divina
provvidenza, sarà a verificarsi pria di terminare il corso di detta tonnara,
allora li generi obligati sopra detta medietà devono restare per conto proprio
di me infrascritto D’Amico. Ed all’incontro, restando io sudetto ed infrascritto
di Rosso creditore, fatto il conto dopo la pesca della tonnara in tutto o in
parte della somma delle onze 900, come sopra sborzate, in questo caso mi obligo
io infrascritto Marchese Amico sodisfare quel tanto che resterò in debito, dopo
la rifinizione al conto, al mese di dicembre dell’anno 1798, coll’esecuzione
unde per patto unde.
Rimane anche fra
noi infrascritti accordato che, volendo esso signor Rosso salare in tutto o in
parte la tangente del pescato che le sarà consegnato in detta pesca, debbo io
sudetto Marchese Amico darle il commodo in tonnara per eseguire l’operazione
sudetta. Come pure le tine necessarie e quegli uomini della chiurma della
sudetta tonnara che non si troveranno impiegati in servizio più preciso della
medesima. Senza poter pretendere per tali commodi alcuna paga, ma soltanto il
pagamento del sale e barrile necessario, che sarò io infrascritto coll’obligo
pagare alli prezzi correnti.
Pella cautela
maggiore delle sudette onze novecento, come sopra sborzate dal cennato signor
Rosso in tale negozio, e per ogni sicurezza del suo denaro quando non fosse
compito colla di sopra indossata obbligazione, giusta le convenute vicende,
sendosi pensato far intervenire in questa scrittura il signor Don Felice
Antonio D’Amico, figlio primogenito emancipato del detto Marchese. Perciò io
infrascritto Don Francesco Bitto, qual
procuratore eletto dal detto Illustre Marchesino Don Felice Antonio per atto di
procura stipulato in Milazzo a 30 settembre del presente anno 1797 per atti di
Notar Don Andrea La Macchia, intervenendo col nome sudetto nel presente
alberano di vendizione ed obligazione, mi obligo in solido col detto signor
Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, padre, a favore del cennato signor Rosso.
Intendendo e volendo esso mio costituente obligarsi qual debitore equalmente
principale, renunciando ad ogni legale ajuto, poiché altrimente non si sarebbe
dal detto signor Rosso divenuto al cennato sborzo. E ciò con tutte le debite
cautele, renuncie ed ogn’altro nella più debita e legale forma a stile di
publico notaro. Per qual mottivo viene da me infrascritto di Bitto detto nome,
firmato il presente alberano ed anche la procura validante il medesimo.
Si sono dunque
del presente alberano firmati due consimili originali di proprio carattere di
noi infrascritti Rosso, Marchese Amico e Don Francesco Bitto, procuradore, ed
inoltre di tre testimonj dopo le nostre firme, uno de’ quali è rimasto in mani
di me infrascritto di Rosso ed altro presso di noi Marchese Amico e Bitto per
la nostra reciproca cautela in ogni tempo avvenire. Ed oggi stesso si è
stipulata sollenne procura ed publicandum il presente alberano per atti di
notar Don Antonino Maria Bruno di questa Città di Messina, ad oggetto di poter
lo stesso publicare e ridurre in forma publica in ogni e qualsivoglia caso di
contravvenzione e non altrimenti.
Oggi in Messina
li dodici ottobre 1797.
Tommaso Mariano
Marchese Amico confermo come sopra
Francesco Bitto
Procuradore nome cofermo come sopra
Giovanni Rosso
confermo come sopra
Giuseppe Saccà
fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano
Antonino
Picciolo fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano
Sebastiano Fiore
fui presente testimone alla sottoscrizione del presente alberano
§XI
Il marchese Tommaso Mariano D’Amico il vincola 25%
del pescato 1800 della Tonnara del Tono ad una società costituita da Felice
Roma, Pasquale Tricamo e Giuseppe Mannello, quest’ultimo padrone marittimo. In
sostanza il marchese vincola metà del suo 50% di pescato, essendo l’altro 50%
destinato al socio Calapaj. Soddisfatta la suddetta obbligazione, il marchese
rimaneva contrattualmente impegnato a consegnare agli acquirenti di cui sopra
un’altra porzione di pescato, ossia un’ottava parte (12,5%) di soli tonni e
palamidi, tuttavia a prezzi maggiorati rispetto a quelli concordati per la
vendita del 25%.
Die vigesimo
octavo Decembris Tertiae Ind. Millesimo Septing.mo Nonag.mo Nono
L’Illustre
Marchese Don Tommaso Mariano D’Amico, nobile messinese morante in questa Sempre
Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da me notaro conosciuto, alla presenza
mia e dell’infrascritti testimoni, in vigor del presente stipulante ha venduto
ed obligato, e vende ed obliga, a Felice Roma, Pasquale Tricamo e Padron
Giuseppe Mannello di questa predetta Città, presenti, ancora da me notaro
conosciuti, presenti, stipulanti, che comprano tutta ed intiera la mettà della
mettà spettante a detto Illustre Marchese D’Amico sopra l’intiero pescato della
Tonnara del Tono nella pesca prossima ventura dell’anno entrante 1800. Cioè,
quarta parte di tutti li tonni, palamadi, bisi o siano palamiti, alilunghe e
strumbi, quali intieramente pescherà la tonnara predetta.
Benvero però che
sia e s’intenda prima dedotto, sopra tutto l’intero pescato, il tangente della
Piazza di questa predetta Città, cioè cantara due al giorno per ogni genere di
pesci e sopra li bisi il tangente inoltre della taverna di detta tonnara, cioè
numero cinquanta bisi al giorno sopra sudetto intiero pescato dei bisi. Quali
restar devono per conto del detto Illustre Marchese D’Amico in unione di tutti
gl’altri restanti generi di pescato che piglierà la sudetta tonnara,
riguardanti la detta mettà del detto Illustre Marchese D’Amico. Colla legge
però che sudetto Illustre Marchese D’Amico debba a detti compradori di Roma e
consorti consignare detti cinque generi di pescato di sopra obligati di levata
in levata, nella loggia di detta tonnara, giusta l’uso di questa città a peso
di stadera. Apparte delli bisi, quali debbansi contare a numero di cento. E che
tanto se li tonni siano di cantaro 1 infra, quanto se siano di sopra il
cantaro, debbansi pesare con tutte le teste, conforme detto Illustre Marchese
D’Amico in vigor del presente stipulante s’obligò ed obliga consegnarli nel
modo detto sopra esposto. E non mancare unde, altrimenti unde, delli quali
danni unde, quale giuramento unde, sotto l’ipotega unde.
E questi per il
prezzo rispettivo, cioè le tonnine ad onze due il cantaro, li palamadi ad onza
una e tarì venti il cantaro, le alilunghe ad onza una e tarì dieci il cantaro,
li strumbi ad onza una e tarì dieciotto il cantaro e li bisi, o siano palamiti,
ad onze due e tarì cinque per ogni centinaio, di conto, così di patto ed
accordio fra di loro.
In causa del
quale prezzo sudetto Illustre Marchese D’Amico, in vigor del presente
stipulante, disse e conferma avere avuto e ricevuto dalli detti di Roma,
Tricamo e Mannello, stipulanti, onze quattrocento di denari in moneta d’oro ed
argento, come costa. Per le quali onze 400 procede la presente obbligazione di
detta quarta parte di detti cinque generi di pescato, sopra l’intiero pescato
di detta Tonnara del Tono, per li prezzi di sopra stabiliti. Quali onze 400
estinte, resta estinta la superiore obbligazione. Ben inteso però che per lo
restante tempo del corso di detta tonnara dell’anno prossimo venturo 1800 resta
detto Illustre Marchese D’Amico tenuto, conforme s’obligò ed obliga, dare e
consignare alli detti di Roma e Compagni predetti l’ottava di detta mettà della
mettà di detto Illustre Marchese D’Amico delle sole tonnine e bisi sino a
tagliata di tonnara, colle stesse leggi della superiore obligazione, da
ratizzarsi però il prezzo, cioè le tonnine ad onze due e tarì dieci cantaro e
li bisi ad onze due e tarì quindeci il centinaio di conto di pace unde.
Il prezzo però
di detta ottava di detta mettà di tonnine e bisi, quali si consegneranno dopo
il saldo di dette onze 400 come sopra, li sudetti di Roma, Tricamo e Mannello
in vigor del presente in solidum obligandosi rendono. E specialmente promisero
e promettono, e solennemente si sono obligati ed obligano, al detto Illustre
Marchese D’Amico, stipulante, darlo e con effetto pagarlo in questa predetta
città in denari contanti e fuori deposito, subito tagliata la tonnara predetta
in detto anno prossimo venturo 1800 in pace unde.
Sotto
l’infrascritti patti unde. E primo che se (Dio non voglia) colla quarta di
dette cinque generi di pescato di sopra obligata non potrà per mancanza di
pesca saldarsi la somma intera delle sudette onze quattrocento, che da detto di
Roma e compagni vengono sborzate, quanto che o in tutto o in parte resteranno
attrassate le dette onze 400 per mancanza di buona pesca, in questo caso detto
Illustre Marhcese di Amico sia tenuto ed obligato, conforme in vigor del
presente s’obligò ed obliga, alli detti di Roma e compagni, stipulanti, dare e
pagare il saldo di detto onze 400 nel mese dicembre di detto anno 1800 in pace
unde.
Dippiù, che
detto Illustre Marchese D’Amico sia tenuto, conforme in vigor del presente
s’obligò et obliga, alli detti di Roma e Compagni [offrire] quel commodo [locale, ndr] potrà darsi per salare in
detta tonnara, le tine, sale e barili per farsi il salato di detti generi. Il
prezzo delli quali, li sudetti di Roma, Tricamo e Mannello siano obligati,
conforme s’obligano, pagarlo al detto Illustre Marchese D’Amico, stipulante,
cioè il sale ad onza una e tarì sei salma macinato ed onze una per il grosso e
li barili a tarì tre per ogn’uno. Dovendosi da detto Illustre Marchese dare
alli detti di Roma e compagni il commodo e le tine gratis. Dippiù che nella
loggia di detta tonnara debbansi fare le vendite in fresco delli sopradetti
generi di pescato in società sino a quella quantità che si potrà vendere.
Dovendosi in ogni sera fare il conto e dividersi il denaro. E per quella parte
di generi che non si potrà vendere, debbano detti di Roma e compagni ricevere
la loro parte per salarsela sopra il contesto della presente obligazione. E
perciò sia lecito a detti di Roma e compagni mettere nella loggia di detta
tonnara uno scrivano per notare e guardare li suoi [loro, ndr] interessi, senzaché sudetto Illustre Marchese D’Amico
possa opponersi unde. E per maggior cautela delli sudetti compagni di Roma e
compagni per la esatta consegna delli generi di sopra obligati tantum et dumtaxat
nelli modo, fa, loco e tempo di sopra descritti. Per detto Illustre Marchese
D’Amico ed a sue preghiere, il reverendo sacerdote Don Gioachino Rizzo di
questa predetta città, presente, da me notaro conosciuto, in vigor del presente
stipulante, ha intercesso e pleggiato, e pleggia e pleggio in solidum, col
detto Illustre Marchese D’Amico, obligato. Si è costituito rendendo la lege de
primo et principali conveniendo instrutto da me della forza di detto beneficio.
(…)
Testes Don
Rochus Chillemi et Don Franciscus Macchia.
Ex actis mei
Notari Don Andrea Macchia reg. pub.ci hujus Urbis Mylarum
§XII
Tonnara del Porto, stagione di pesca 1801. A
gabellare (affittare) la tonnara furono, in società, il marchese Tommaso
Mariano D’Amico, Giovanni Calapaj e Gioacchino Calabrò. Poiché la Tonnara del
Porto o Tonnara di Milazzo era un impianto di pesca sia di corsa che di
ritorno, precedenti accordi contrattuali prevedevano che per il “corso” il
pescato venisse diviso tra il Calapaj ed il D’Amico in ragione del 50% ciascuno,
mentre per il “ritorno” di qualche mese più tardi lo stesso pescato sarebbe
stato diviso in ragione di un terzo anche col Calabrò.
Nel contratto riportato di seguito il marchese
D’Amico affidava metà del suo 50% di pescato al socio del ritorno Gioacchino
Calabrò. Ove il pescato non avesse compensato il corrispettivo versato
anticipatamente al marchese D’Amico dal Calabrò, quest’ultimo avrebbe potuto
compensare la somma precedentemente sborsata col pescato del ritorno, per il
quale però il D’Amico era socio per un terzo e non per metà.
Gesù Maria
Giuseppe
Reggendo in
medietà l’interesse della gabbella della Tonnara del Porto di Melazzo per il
corso della pesca prossima ventura 1801, per me infrascritto Marchese Amico,
dietro l’ultima convenzione fatta col signor Don Giovanni Calapaj, ò convenuto
col socio signor Don Gioacchino Calabrò la infrascritta convenzione.
Della mia
medietà del pescato che mi spetta per la pesca dell’anno 1801, dedotta la
Piazza e taverna giusta al solito, per quel che a me s’appartiene somministrare
alla Piazza di questa città, per tutto il resto del pescato, esclusi li
pescespada che restano a mio particolare conto, di tutto il rimanente per
quello che si vende in fresco nella loggia di detta tonnara devo consegnarne la
medietà e farla passare a conto dal sudetto di Calabrò, restando l’altra metà
per mio singolare conto. Raggionando il prezzo delli pesci da consegnare nella
seguente forma che sotto si descrive:
- li tonni ad
onze 2 cantaro, tanto di cantaro a basso che sopra, colla testa;
- li palamidi ad onze 2 e tarì 5 per cento di
conto, giusta la prattica delle tonnare;
- li palamati ad onza 1 e tarì 20 cantaro;
- li strumbi ad onza 1 e tarì 18 cantaro;
- le colorite ad onza 1 e tarì 10 cantaro;
- le alalonghe ad onza 1 e tarì 10 cantaro.
In ogni sera, se
così si volesse pratticare, si farà il conto del venduto, giusta il libro della
tonnara, e del venduto in fresco consegnirà detto di Calabrò il suo tangente di
detta medietà, o sia il quarto dell’intiera tonnara, a seconda delli prezzi
correnti che si venderà nella loggia di detta tonnara.
Per quello
riguarda al salato, la metà di mia spettanza o vorrà salarsi in commune con
detto mio socio signor Calabrò, con pesarsi prima tanto la tonnina che tutti
gli altri pesci e contarsi li palamidi per sapersene l’effettivo peso e potersi
regolare la consegna alli prezzi dell’obligazione di sopra stabiliti, e così
sarà a praticarsi. O pure, convenendomi consegnarle la sua metà per salarsela,
glene pratticherò la consegna al peso di statera di sudetta tonnara. Quando le
operazioni tutte si facessero socialmente per il salato, allora il sale e
barrile necessario e le spese anderanno a conto della società. In caso diverso
ognuno pagherà quel tanto di cui s’è avvalutato delle proviste della medesima
tonnara.
Confesso [aver
ricevuto] io infrascritto Marchese dal signor Calabrò in più volte e partite la
somma di onze duecento diecisette e tarì diecinove, quali mi obligo scomputarle
col prezzo delli pesci consegnandi della metà della mia medietà nella pesca del
corso 1801, alli prezzi di sopra enunciati e condizioni di sopra stabilite. Se
mai, però, detto sborso di onze duecento diecisette e tarì diecinove non le
serà compito nella pesca del corso della tonnara e saldato detto conto, allora,
armandosi la tonnara a ritorno, continuerà l’obligazione per li palamidi del
ritorno, dovendosi però apprezzare ad onze 2.10 per 100, tarì cinque più del
prezzo del corso. E ciò sino al saldo dello sborzo ricevuto. E se mai, Dio non
voglia, tale saldo non sarà a seguire né per tutto il corso, né nel ritorno,
alla tagliata di tonnara si farà il liquido, essendovi residuale debbito dovrà
farsene il saldo. Dichiarandosi bensì che l’obligazione delli palamidi del
ritorno regge nella metà della terza, sendo in tale quantità l’interesse di me
infrascritto marchese al ritorno di detta tonnara nella pesca sudetta.
Per la reciproca
cautela e per segno della stabilita convenzione, abbiamo noi infrascritti
Marchese Amico e Gioachino Calabrò formato il presente alberano in due
consimili, anche firmato da tre testimonj in piede dello stesso, per restarne
uno in potere di me Marchese Amico, altro in potere di me infrascritto di
Calabrò, all’oggetto di poterlo uno indipendentemente dall’altro publicare in
ogni caso di contravenzione. A qual effetto ci siamo oggi stesso costituiti
reciprocamente procuradori ad publicandum il presente alberano per atti di
Notar Don Andrea La Macchia e non altrimenti, né in altro modo.
Oggi in Melazzo
lì 13 febraro 1801.
Tommaso Mariano
Marchese D’Amico confermo come sopra
Gioachino
Calabrò confermo come sopra
Filippo Formica
fui presente testimonio alle sopradette sottoscrizioni
Don Leonardo La
Manna [?] fui presente alle sopradette sottoscrizioni
Don Francesco
Munafò fui presente alle sopradette sottoscrizioni
§XIII
Luglio 1785. Il marchese D’Amico commissiona ai
maestri d’ascia Paolo Piraino e Gregorio Rizzo un “palascarmotto”, lungo 44
palmi (ossia 11 metri), al prezzo di 16 onze e 15 tarì da pagarsi in varie
soluzioni. Avrebbe dovuto mettere a disposizione dei maestri d’ascia il
legname, in parte proveniente dalla Calabria, porzione del quale sarebbe stata
ritirata nei boschi proprio dagli stessi maestri d’ascia, che avrebbero dovuto
consegnare l’imbarcazione entro dicembre 1785.
Grazie alle ricerche archivistiche di Giovanni Lo
Presti è emerso che mastro Paolo Piraino (1744-1804) era l’ultimo discendente
di una stirpe di artigiani (verisimilmente tutti maestri d’ascia), attivi da
quattro generazioni. Mastro Stefano, il padre di Paolo, morì nel 1777 a 65 anni
circa ed era a sua volta figlio di mastro Francesco (1679-1754) e nipote di
mastro Domenico Piraino (1653-1721).
Da parte sua mastro Gregorio Rizzo (1755-1821) -
figlio di Giovan Battista Rizzo e Sebastiana Vitali (quest’ultima nata dal
matrimonio tra il maestro d’ascia Gaetano Vitali e Giuseppa Catanzaro) - era
fratello di mastro Gaetano, che nel biennio 1789/90 risultava assieme a
Gregorio al servizio della Tonnara del Tono (cfr. contabilità di Nunzio
Magnisi, taverniere della Tonnara del Tono). Un altro fratello, mastro Pietro
Rizzo, sposò nel dicembre 1795 la vedova di Nunzio Magnisi, che a scanso di
omonimie dovrebbe essere il suddetto taverniere della tonnara. Verisimilmente
anche Pietro era maestro d’ascia come i fratelli Gregorio e Gaetano.
Die vigesimo
quinto Iulij 3a Ind. 1785
Innanti a noi
mastro Paolo Piraino del quondam mastro Stefano e mastro Gregorio Rizzo,
maritato di Giovan Battista, di questa Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da
me notaro conosciuti, in vigore del presente stipulante (…) promesero e
promettono e s’obligarono ed obligano all’Illustre Marchese Don Tommaso Mariano
de Amico, nobile messinese, da me notaro anche conosciuto, presente stipulante,
fare un palascarmotto di palmi quarantaquattro lunghezza e di larghezza secondo
richiede l’arte ed a piacere di detto Illustre Marchese Amico. Dovendo essere
bene e magistrevole, secondo richiede l’arte sudetta. Con dare detto Illustre
Marchese Amico tutto quella legname di corpo che tiene tanto in questa città, e
di sotto la pescaria, quanto nella Tonnara di Milazzo. Ed assieme un quarantino
e trentino di legname di Calabria. La chiovame necessaria per detto
palascarmotto, pece e stoppa e tutto il di più, tanto per il corpo quanto per
chiudenda, per il totale finimento di sudetto palascarmotto, che le potesse
bisognare, devono farsi a proprie spese di detti maestri di Piraino e Rizzo in
solidum, senza punto mancare. Alias sia lecito a detto Illustre Marchese D’Amico,
a spese de’ sudetti maestri, farsi detto palascarmotto e stare poi al
giuramento di detto Illustre Marchese per interessi sofferti qualora non si
adempiranno le condizioni di sopra. Quale palascarmotto detti maestri di
Piraino e Rizzo in solidum, come sopra, promese e promettono e s’obligarono ed
obligano a detto Illlustre Marchese Amico, di sopra stipulante, consegnarlo
lesto di tutto punto, atto a navicare, per tutto il mese dicembre prossimo
venturo 1785 in pace unde. Per quali danni unde. Qual giuramento unde.
Pello prezzo di
onze sedeci e tarì quindeci di denari contanti, fuor dell’attratto che viene
obligato dare detto Illlustre di Amico a detti maestri a tenore di come di
sopra viene descritto. Così fra essi convenuti d’accordo (…).
Quali onze 16.15
detto Illlustre Marchese Amico, presente come sopra, promese e promette e
s’obligò ed obliga dare e pagare alli sudetti maestri di Pirajno e Rizzo, di
sopra stipulanti, o a persona per essi legitima in questa sudetta città fuor
deposito del modo, cioè: onze sei subito che detti maestri andiranno a prendere
la legname nel bosco, onze cinque travagliando pagando ed onze cinque e tarì
quindeci, complimento fatta la consegna di detto palascarmotto in pace unde
Testes: Not. Don
Ioannes Aricò et Don Augustinus Filoramo
Ex actis mei Don
Rosarij Anastasi Reg. Pub. Not. huius Fid. Urbis Mylarum
§XIV
Memoriale del marchese Don Tommaso Mariano D’Amico
della Città di Milazzo
Sacra Real
Maestà
Sire,
Tommaso Mariano
D’Amico, patrizio messinese abitante nella città di Milazzo, umiliato al Real
Trono della Maestà Vostra, umilmente vi espone qualmente. Avendo egli ereditato
dal padre marchese Don Antonino non solo i suoi averi, ma benanche quell’anzia
ed impegno di corrispondere ai doveri di attento e fedele vassallo della Maestà
Vostra con prestare quei servizi che sono corrispondenti, come pratticò
indefessamente il padre dell’oratore in varie emergenze, e precisamente nella
guerra dell’anno 1718 e 1734 e nel contaggio di Messina [peste del 1743, ndr].
Servizi di tal rilevanza contestati presso il Protonotaro del Regno nell’anno
1757 e da questi rapportati a Sua Eccellenza signor viceré di quel tempo,
quale, avendo tutto rimesso al Real Trono dell’Augusto Vostro Genitore, dalla
Giunta Consultiva di Sicilia, da cui ne richiamò il suo parere, fu questo di
avviso sulla verità dei fatti esposti di meritare e di essere effettivo
creditore della grazia allora implorata di un titolo di marchese dalla Real
Municifenza al medesimo allora accordato. Avendosi spiegato l’Augusto Cattolico
Padre di Vostra Maestà in un suo reale biglietto che prima gli avrebbe concesso
il titolo di marchese, se pria con tanti e sì cospicui meriti l’avesse
richiesto. Or, l’oratore, seguendo le vestigia del suo difonto padre e sul di
lui modello ed esemplare, non à lasciato nelle occasioni che il Governo à
proporzionate di disimpegnare colla possibile esattezza. E di rispondere
puntualmente agl’incarichi ricevuti. Così adempì nell’essere stato nell’anno
1777 eletto console nobile del Consolato di Mare e Terra della città di
Messina. Ma sopra ogn’altro essendo stato dal vostro Governo di Sicilia
prescelto nell’anno 1785 e 1786 in qualità di Commissario Generale in occasione
dei seguiti tremoti [terremoti, ndr]
per tutto questo valle. Ad effetto di apprestare i necessarij ripari alle
dennaggiate città e popolazioni tutte che soffrirono in quell’epoca, egli,
l’oratore, con incessanti fatighe e dispendj per il corso di due anni e mezzo,
lasciando in attrasso i proprij affari ed andando da per tutto sulla faccia del
luogo nei paesi danneggiati, senza esserle stato per la sua persona accordato
verun soldo o emolumento di sorta per tal’incarichi, à così bene accertate
allora le ricevute incombenze quanto ne riportò dal Governo replicati encomi ed
approvazioni. E, dopo di essersi discaricato, ne à ricevuto sino al giorno
d’oggi nuov’incarichi per diverse circostanze.
Fa ulteriormente
presente l’oratore alla Maestà Vostra che sono ormai anni tredici che in
qualità di vice intendente di questo Real Fondo dei Lucri à maneggiato senza
vuruna retribuzione con onestà e decoro i vostri reali interessi, come
attualmente prosiegue. In questo stato di cose l’oratore, sendosi verificata la
circostanza di essere cessato di vivere il sergente maggiore dei cavallari che
guardano il littorale di questa città di Milazzo, Don Francesco Giacomo
Impallomeni, si da il coraggio di supplicare la Maestà Vostra che per effetto
di Sua Real Municifenza volesse aggraziarne a tale impegno un di lui figlio,
maggiore d’anni 27, Don Giovanni D’Amico e Carrozza, e ciò in riguardo alli
rilevanti servizi del suo padre. Non meno che dall’oratore prestati e che sto
attualmente prestando per effetto e dovere di suo fedelissimo vassallo, facendo
presente alla Maestà Vostra che il Barone Forzano, ch’ebbe l’uguale incarico
del supplente di commissario generale nell’epoca suddetta dell’anno 1786 per
poche popolazioni a lui vicine, senza punto appaltarsi dal proprio tutto fu
dalla Maestà Vostra remunerato colla concessione di un titolo di marchese in
pheudum per sè per li suoi primogeniti. Così dunque si persuade l’oratore e
spera dalla Vostra Real Clemenza che, non avendo mai ricevuto verun compenso
pelle sue fatighe e prestati servizj, si benignasse ad esso la Maestà Vostra
accordarle la richiesta grazia dell’impiego di sergente maggiore per il di lui
figlio ad oggetto di potersi l’oratore ed i suoi discendenti segnalare con quel
zelo ed indefessa attenzione dovuta di fedeli vassalli nella carriera del
vostro reale servizio.
Un documento del 1757 attesta una fornitura di frumento a favore di Don Antonino D'Amico, non ancora marchese, per la «sua Tonnara di Milazzo» (Museo Etnoantropologico e Naturalistico "D. Ryolo", fondo famiglia D'Amico-Faranda).
Il marchese Antonino D'Amico riunito in società «per causa delle tonnare di Milazzo» con Guglielmo D'Amico ed Antonino Proto (anno 1762, Museo Etnoantropologico e Naturalistico "D. Ryolo", fondo famiglia D'Amico-Faranda).
APPENDICE II
La documentazione riportata di seguito ad alta risoluzione è custodita, come la precedente, presso l’Archivio Storico del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”, fondo Famiglia D’Amico-Faranda, “amministrazione delle tonnare, carte settecentesche”.
§I
«Discapito dell'apparato della Tonnara del Capo Bianco in questa passata pesca 1774»
§II
«Robba apposta dall'Illustre Marchese Amico per serviggio della Tonnara di Milazzo per la Società fatta col Signor Barone Proto in questo anno 1775» e «Robba apposta dal Signor Barone Proto per serviggio della Tonnara di Milazzo per la Società fatta coll'Illustre Marchese Amico in questo anno 1775»
§III
«Nota della chiurma delle due Tonnare Milazzo e Capo Bianco per l'anno 1776»
§IV
«Nota di tutto quello va creditore il Signor Marchese Amico della chiurma di Capo d'Orlando per tutta la pesca 1777»
§V
«Dare Giovanni Magnisi per la taverna della Tonnara di Milazzo della pesca 1779»
§VI
«Dare Giovanni Magnisi al signor Machese Amico per la taverna della Tonnara di Milazzo della pesca 1780»
§ VII
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per la taverna della Tonnara del Tono per la pesca 1789, come pure della robba da lui ricevuta»
§ VIII
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per la taverna della Tonnara del Tono della pesca 1790, come pure della robba di camparia da lui ricevuta»
§ IX
«Dare ed avere di Nunzio Magnisi per il somministrato alla taverna della Tonnara del Tono per la pesca 1791, come pure della robba da lui ricevuta»
§ X
«Equalazione delle tonnine, bisi e scamali, sale e barili tra il signor marchese Amico ed il signor Calapaj (1791)»
§ XI
«Conto generale di tutto il prodotto della Tonnara del Tono per la pesca ed anno 1795»
§ XII
«Conto di dare ed avere tra il signor marchese Amico e la tavernara della Tonnara del Tono per il somministrato dalla medesima fatto e della robba dalla stessa ricevuta in pesca ed anno 1796»
§ XIII